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Palabra del Ejército Zapatista de Liberación Nacional

Oct212024

Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo. Postfazione. Quarta Parte: Tra paga e fantasia.

Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo.

Postfazione

Quarta Parte: Tra paga e fantasia.

d). – Fai parte di un gruppo teatrale. Beh, facevi parte. Non rimane nulla delle brillanti improvvisazioni, delle noiose prove, delle correzioni di postura, dizione e intonazione, delle discussioni sui costumi, dei conflitti professionali (“ehi Luis, non mi piace questo dialogo, nel mio ruolo di statua dovrei essere più eloquente”), le scenografie sontuose, le lotte sul budget, le sedi da adattare, la pubblicità, i biglietti. Inoltre, non ci sono aspettative per un ruolo in quel film, soap opera, serie, spettacolo.

D’altra parte, l’altro te già intuiva l’esito della tormenta. Quando eri in diversi angoli del mondo cercando di strappare sorrisi ai bambini là dove c’erano solo espressioni di dolore e sguardi svuotati dall’angoscia. L’albero mutilato dell’infanzia palestinese, la cinica indifferenza di una “civiltà” piena del culto della banalità, le umili capanne degli indigeni nel lungo oblio chiamato America Latina. Sei stato anche autista, con la tua compagna autista – “è la stessa cosa”, direbbe la ragazza zapatista che non si occupa di generi biologici ma dell’essenza di ogni essere – quella volta in cui una piccola montagna navigava controcorrente rispetto alla storia, come se si trattasse di quello, di andare contro. I suoi passeggeri che reiteravano l’allarme, avvisando dell’imminente scadenza di un sistema impazzito. Il culmine della tragedia, il mondo come lo conoscevi che si sgretolava in un gemito sordo perché non c’era nessun social network ad avvertirti. Puoi quasi dire che te lo aspettassi.

Adesso è tutto alle spalle. Sei in questa comunità da diversi giorni e tu, che sei mediamente intelligente, hai capito che queste persone riunite insieme non vogliono ripetere la storia del “piccolo Malcom nella sua lotta contro gli Eunuchi”.

Adesso sta per arrivare il tuo turno. Coloro che facevano parte del gruppo sedevano insieme, come gli esseri umani che si uniscono nella disgrazia. Perché non riesci a toglierti dalla testa i dialoghi di “La persona onesta del Sichuan”? Forse perché tutto questo sembra la stessa cosa: la sfida di essere una persona migliore e di essere buona, di vivere meglio senza abbandonare l’onestà come valore umano. Rimangono solo due persone prima che arrivi il vostro turno di presentarsi. Fai un rapido calcolo: c’è chi può interpretare i personaggi: c’è Shen Te – Shui Ta, e confidi che ricordi i dialoghi; ci sono gli dei, ci sono Wang, Sun e Shui Fa. Ma per quanto riguarda la scenografia? Come? Con cosa? Dove? È il vostro turno. Allora tu e il tuo gruppo vi rendete conto che state affrontando la sfida più grande della vostra professione: con le vostre esibizioni dovete far immaginare al pubblico la scenografia. “Questa è la storia di una donna che era anche un uomo che era anche donna e così via”, esordisci stando al centro del campo da basket.

Alla fine nessuno ha applaudito. Non ci sono state interviste, flash, richieste di autografi, critiche da parte della stampa specializzata. Né applausi e risate in solidarietà con la storia rappresentata. Perché adesso intuisci che questa solidarietà ti è concessa come un sussurro tra il pubblico in una lingua incomprensibile. E ora capisci: le vittime smettono di essere vittime solo quando sopravvivono con la forza della resistenza e della ribellione. Solo allora potranno ricominciare.

Siete andati bene o male? Non lo sapete, ma le presentazioni continuano. Il giorno dopo, nella cucina comunitaria chiamata “En Común Come Comida Común”, si sente una donna commentare ad un’altra: “Il problema è che i teatranti hanno pagato la ragazza. Se no, sarebbe stata un’altra cosa.” “O coso, dipende”, risponde la sua compagna. “La Paga”, ti viene da pensare… “Certo”, dici, “Bertolt si affacciava a quella che sarebbe stata la Seconda Guerra Mondiale e ai suoi orrori, e così sottolineava il dilemma posto dal denaro, dunque la paga, come si dice qua, in questo posto.” Vai a sederti con il tuo gruppo che sta mangiando in silenzio perché non sanno se è andata bene o male. Prendi il piatto, guardi gli altri e dici: “il problema è la paga”. Tutti ti fissano. “Si deve immaginare un altro mondo”, continui. Finito di mangiare, mentre fai la fila per lavare il piatto, mormori: “Bisogna immaginare il giorno dopo”.

Il giorno dopo, all’appello dell’assemblea, sentite “teatranti” e, contemporaneamente, come dopo centinaia di prove, rispondete “presenti”. Vi sedete e vi guardate soddisfatti. Il vostro sguardo però cambia quando sentite: “Il vostro compito è portare le tavole per l’auditorium”.

Mentre trasportate le tavole pensate: “auditorium… palco… scenografia… teatro!” Anche se ora capite che non avete bisogno di un recinto. Per l’arte, un cuore collettivo è sempre più che sufficiente. Non lo dite a voce alta, ma a voi stessi “il problema non è più la paga, non dobbiamo più aspettare Godot”.

-*-

e). – Eri uno scrittore, scrittrice o escritoroa. Sai: poesie, racconti, qualche romanzo. Non era facile. Le borse di studio? Bah! Quelle erano sempre per chi sapeva relazionarsi… e adulare con costanza e perseveranza. “Il problema è la paga”, hai sentito dire dai teatranti in sala da pranzo, “Attaccati che c’è fango”. Oppure è “Ora o mai più”? Ricordi quella lezione che hai tenuto all’università. “Chi scrive racconta storie. Né più, né meno”, così avevi iniziato. Tutto questo è ormai alle spalle. Paradossalmente, il giorno prima ascoltavi Bob Dylan che profetizzava: “How does it feel / how does it feel? / To be on your own, / with no direction home / A complete unknown, / like a rolling stone”.

Adesso, con la punta del piede, fai rotolare un sassolino. Niente più tempo da soli, la penombra, la tua biblioteca, il tavolo da lavoro o la scrivania, il computer, i fantasmi, le decine di bozze, l’hard disk pieno di parole cancellate, la ricerca di un editore: “Oops, no giovanotto. La letteratura è fuori moda. Ciò che va ora sono storie interattive, storie con un minimo di parole. Cose leggere che non richiedano molta riflessione. Ma vieni un altro giorno. Sai, il mondo è rotondo e gira intorno.

Ma il mondo non esiste più, almeno non il TUO mondo. Arriva il tuo turno. Fai un bel respiro e ti alzi. Cominci: “Vi racconterò una storia”. E senza nemmeno rendertene conto stai intessendo una storia di storie che, mentre guardi i volti dei presenti, stai tirando fuori dalla tua fantasia. Decine di storie cucite insieme in una. Come nel ricamo dell’“Hydra” che hai visto in un museo di Madrid, nella Spagna dallo “spirito beffardo e anima quieta”, “la Spagna della rabbia e delle idee”, quando poi hai accompagnato il team di Open Arms che, in una taverna in Andalusia (tra tapas, battimani e ritmi di flamenco, con il cante Jondo [*] e Federico [**] che gridavano alla terra “Sveglia!”), decideva di usare la paga per una barca per il recupero dei migranti naufraghi.

Forse allora immaginavate che sarebbe arrivato il giorno in cui tutti sarebbero tati naufragi, tentando di emigrare da un mondo distrutto, pieno di macerie e di incubi, cercando qualcuno che aprisse loro le braccia per accoglierli e provare così a ricominciare…

Il silenzio governa e comanda, e si sente solo la sua voce. Anche i grilli, da sempre ciarlieri, sono rimasti in silenzio.

Il giorno dopo, nella sala da pranzo “Corri Perché Ti Prendo”, senti un vecchio che dice: “Mi è piaciuta quella storia perché lì sono più giovane”. Una donna anziana: “E io, perché lì sono carina”, e aggiunge civettuola: “Beh, più carina”. Ad un altro tavolo, due giovani: “Quello che non capisco è cosa c’entrasse quel bastardino con la storia”; l’altro “Macché bastardino, l’ho visto, è un gatto”. “Ma che dici, ha anche abbaiato”. “Non è che abbaiava, ho sentito chiaramente che si comportava come un gatto.” Poi in assemblea chiamano “Contador” [Ragioniere, ma anche Narratore – N.d.T.] tutti si girano a guardarti e tu capisci, ti alzi e dici “Presente”.

Tra te e te pensi: “Aveva ragione mia nonna: mija, sei brava in aritmetica, da grande farai la ragioniera”. Il tuo sorriso scompare quando senti “devi aiutare Doña Juanita in cucina”.

Ti dirigi in cucina, quando una bambina (di circa 5-6 anni) ti viene incontro e, senza ulteriori indugi, sbotta: “Ehi Contador, raccontami una storia su come so andare in bicicletta. Perché odio il fatto di cadere sempre”. La bimba ti mostra il ginocchio in modo che tu possa vedere un graffio ancora pieno di sangue e polvere. Chiedi educatamente: “Fa molto male?”. Si mette le mani sui fianchi e dice: “Non così tanto, fa più male la presa in giro degli stronzi dei maschi che si mettono in mostra, ma cadono, li ho visti l’altro giorno. Il Pedrito è caduto ma gli è solo finita la testa nel fango, quindi quel maledetto ha dovuto solo lavarsi e mi prende in giro. Ma io sono caduta nella ghiaia. Perché andare in bici sula ghiaia non è da tutti”.

Proprio in quel momento passa un amico e dice: “Ehi Contadora, se arriva il capitano e ti dice di preparare un piatto chiamato “Marco’s Especial”, non ascoltarlo. Il mondo intero ti ringrazierà”.

Sei mediamente intelligente, quindi capisci due cose: che il piatto del capitano non è gradito su nessuna tavola e che il mondo ormai è questa piccola comunità alla ricerca del proprio destino. Un gruppo di persone sopravvissute alla tormenta che, individualmente e collettivamente, cercano di andare avanti, di ricominciare, senza ripetere gli stessi errori… il giorno dopo.

Continua…

Dal giorno prima.

El Capitán
Ottobre 2024

 

 

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

[*] cante jondo: stile vocale flamenco.

[**] Federico García Lorca (1898-1936: poeta lirico e drammaturgo spagnolo le cui opere sono ampiamente utilizzate nel flamenco).

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