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Palabra del Ejército Zapatista de Liberación Nacional

Dic212023

Ventesima e Ultima Parte: Il Comune e la Non Proprietà

Ventesima e Ultima Parte: Il Comune e la Non Proprietà

Apri bene gli occhi, figliolo, e segui l’uccello Pujuy. Lui non si sbaglia.
Il suo destino è come il nostro: camminare affinché gli altri non si perdano.”.
Canek. Ermilo Abreu Gómez

In qualche occasione, qualche anno fa, le comunità zapatiste si spiegavano la lotta di “noi in quanto donne” sottolineando non una questione di mera volontà, disposizione o studio, ma la base materiale che aveva reso possibile questo cambiamento: l’indipendenza economica. delle donne zapatiste. E non si riferivano al fatto di avere un lavoro e uno stipendio o all’elemosina in monete con cui i governi di tutto lo spettro politico comprano voti e adesioni. Indicavano nel lavoro collettivo il terreno fertile per questo cambiamento. Cioè, il lavoro organizzato che non era finalizzato al benessere individuale, ma a quello del gruppo. Non si trattava solo di riunirsi per fare artigianato, il commercio, l’allevamento del bestiame, o la semina e raccolta di mais, caffè, ortaggi. Anche e, forse, soprattutto, i propri spazi, senza uomini. Immaginate in quei tempi e luoghi di cosa cosa parlavano e parlano tra loro: il loro dolore, la loro rabbia, le loro idee, le loro proposte, i loro sogni.

Non entrerò oltre nel dettaglio: le compagne hanno la loro propria voce, la loro storia e il loro destino. Lo cito solo perché resta da sapere quale sarà la base materiale su cui costruire la nuova tappa che le comunità zapatiste hanno deciso. La nuova iniziativa, come la classificherebbero quelli che vengono da fuori.

Sono orgoglioso di sottolineare che non solo l’intera proposta è stata il prodotto, fin dal suo concepimento, del gruppo dirigente organizzativo zapatista, tutto di sangue indigeno con radici maya. Anche che il mio lavoro si è limitato a fornire informazioni che le mie cape e capi “incrociavano” con i loro, e, successivamente, a cercare e argomentare obiezioni e probabili futuri fallimenti (la già citata “ipotesi” a cui ho fatto riferimento in un testo precedente). Alla fine, quando hanno terminato la loro deliberazione e hanno concretato l’idea centrale per sottoporla alla consultazione di tutte le comunità, sono rimasto sorpreso come forse lo sarete voi ora che lo saprete.

In quest’altro frammento dell’intervista al Subcomandante Insurgente Moisés, ci spiega come sono arrivati a questa idea del “comune”. Forse qualcuno di voi potrà apprezzare il significato profondamente ribelle e sovversivo di questo in cui, tanto per non cambiare, mettiamo a rischio la nostra esistenza.

El Capitán.

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LA NON PROPRIETÀ.

Ebbene, in sintesi questa è la nostra proposta: stabilire come comuni le estensioni dei terreni recuperati. Cioè senza proprietà. Né privata, né ejidale, né comunale, né federale, né statale, né aziendale, né altro. Una non proprietà della terra. Come si dice: “terra senza documenti”. Quindi, in quelle terre che verranno definite, se si chiede chi possiede quelle terre o chi ne è il proprietario, la risposta sarà: “di nessuno”, cioè “comuni”.

Se si chiede se è la terra degli zapatisti, di quelli del partito o di chicchessia, beh, nessuno di loro. O di tutti, è la stessa cosa. Non c’è nessun commissario o agente che compri, uccida, faccia sparire. Quello che c’è sono persone che lavorano e si prendono cura di quelle terre. E le difendono.

Una parte importante è che, affinché ciò si realizzi, deve esserci un accordo tra i residenti, indipendentemente dal fatto che siano dei partiti o zapatisti. In altre parole, devono dialogare tra loro e non con i malgoverni. Chiedere il permesso ai malgoverni ha solo portato divisioni e persino morti tra gli stessi contadini.

Quindi, rispettando le terre che sono di proprietà personale-familiare, e quelle che sono per il lavoro collettivo, questa non-proprietà si crea sulle terre recuperate in questi anni di guerra. E si propone di lavorarla in comune a turni, indipendentemente dal partito a cui appartieni, dalla religione, dal colore, dalla taglia o dal sesso.

Le regole sono semplici: ci deve essere un accordo tra gli abitanti di una regione. Non coltivare droghe, non vendere la terra, non permettere l’ingresso di alcuna azienda o industria. Sono esclusi i paramilitari. Il prodotto del lavoro di quelle terre appartiene a chi le lavora nei tempi concordati. Non ci sono tasse, né pagamento delle decime. Ogni struttura costruita viene lasciata al gruppo successivo. Si porta via solo il prodotto del proprio lavoro. Ma di tutto questo parleremo più approfonditamente in seguito.

Questo, in estrema sintesi, è quanto è stato presentato e messo a consulta in tutti i villaggi zapatisti. E si è scoperto che la stragrande maggioranza era d’accordo. E anche che in alcune regioni zapatiste ciò si faceva già da anni.

Quello che abbiamo fatto è stato proporre un percorso per attraversare la tormenta e raggiungere l’altra sponda in sicurezza. E non fare questo cammino da soli come zapatisti, ma insieme come popoli indigeni che siamo. Naturalmente si saprà di più su questa proposta: circa la salute, l’istruzione, la giustizia, il governo, la vita. Diciamo che lo riteniamo necessario per poter affrontare la tormenta.

PENSARE AL PERCORSO E AL PASSO.

Come ci è venuto in testa? Bene, ve lo dirò. Abbiamo visto diverse cose. Quindi questa idea non è venuta fuori subito. Come se si mettesse insieme e come se la vedessimo pezzo per pezzo e poi tutta insieme.

Una era la tormenta. Tutto ciò che rimanda alla non conformità della natura. Il suo modo di protestare, sempre più forte e sempre più terribile. La chiamiamo distruzione, ma molte volte quello che succede è che la natura si riprende un luogo. O attacca le invasioni del sistema: le dighe, per esempio. Località turistiche, ad esempio, che si costruiscono sulla morte delle coste. Megaprogetti che fanno male, feriscono la terra. Quindi, c’è la reazione. A volte reagisce rapidamente, a volte ci mette un po’. E l’essere umano, beh, ciò che il sistema ha fatto dell’essere umano, è come stordito. Non reagisce. Anche se vede che la disgrazia sta arrivando, che ci sono avvertimenti, che ci sono avvisi, continua come se nulla fosse e, beh, succeda quel che succeda. Dicono che tale disgrazia sia stata improvvisa. Ma sono ormai diversi anni che si avverte che la distruzione della natura avrà il suo prezzo. La scienza, non noi, lo analizza e lo dimostra. Noi, quindi, come gente della terra la vediamo. È tutto inutile.

La tragedia non arriva all’improvviso in casa tua, no. Prima si avvicinerà, farà rumore così saprai che sta arrivando. Bussa alla tua porta. Rompe tutto. Non solo la tua casa, la tua gente, la tua vita, ma anche il tuo cuore. Non sei più tranquillo.

L’altra è ciò che chiamano decomposizione sociale o che il tessuto sociale si rompe a causa della violenza. In altre parole, una comunità di persone è legata a determinate regole, norme o accordi, come diciamo noi. A volte vengono fatte leggi scritte e a volte non c’è nulla di scritto, ma la gente comunque lo sa. In molte comunità si dice “verbale di accordo” cioè si mette per iscritto. “Questo si può fare, questo non si può fare, questo si deve fare”, e così via. Per esempio, che chi lavora dunque avanzi. Che chi non lavora, resti indietro. Che è sbagliato costringere qualcuno a fare ciò che non vuole, ad esempio nel caso degli uomini contro le donne. Che è sbagliato aggredire i deboli. Che è sbagliato uccidere, rubare, violentare. Ma cosa succede al contrario? Se il male viene premiato e il bene viene perseguito e punito. Ad esempio, un contadino indigeno che vede che la distruzione di una foresta è sbagliata, ne diventa il guardiano. Protegge la foresta, quindi, da chi la distrugge per trarne profitto. Difendere è una buona cosa, perché quel fratello o quella sorella si prendono cura della vita.. Questo è umano, non è una religione. Ma accade che questo guardiano venga perseguito, imprigionato e, non di rado, assassinato. E se si chiede qual è il suo crimine, perché lo hanno ucciso, e si sente dire che il suo crimine è stato difendere la vita, come il fratello Samir Flores Soberanes, allora è chiaro che il sistema è malato, che non c’è più rimedio, che bisogna cercare altrove.

Cosa serve per rendersi conto di questa malattia, di questo marciume dell’umanità? Non c’è bisogno della religione, o della scienza, o di un’ideologia. Basta guardare, ascoltare, sentire.

E poi vediamo che ai grandi Padroni, ai capitalisti, non importa cosa succederà domani. Vogliono guadagnare oggi. Il più possibile e il più rapidamente possibile. Non importa se dici loro “ehi, ma quello che fai distrugge e la distruzione si diffonde, cresce, diventa incontrollabile e ritorna a te”. Come se stessi sputando o pisciando controvento. Ti si ritorce contro.” Potresti pensare che è bello che la disgrazia si abbatta su un mascalzone. Ma prima di questo, si abbatte su molte persone che non sanno nemmeno perché. Come i bambini, per esempio. Cosa ne sa un bambino di religioni, ideologie, i partiti politici o altro. Ma il sistema li rende responsabili. Gliela fa pagare. Nelloro nome si distrugge, nel loro nome si uccide, nel loro nome si mente. E gl si lascia in eredità morte e distruzione.

E non sembra che migliorerà. Sappiamo che andrà peggio. E comunque dobbiamo attraversare la tormenta e arrivare dall’altra parte. Sopravvivere.

Un’altra cosa è ciò che abbiamo visto nel Viaggio per la Vita. Quello che c’è in quei posti che dovrebbero essere più avanzati, che sono più sviluppati come si suol dire. Abbiamo visto che tutto ciò che parla di “civiltà occidentale”, di “progresso” e cose del genere è una bugia. Abbiamo visto che c’era il necessario per le guerre e i crimini. Ci siamo accorti davvero di due cose: la prima è dove andrà a sbattere la tormenta se non facciamo nulla. L’altra è quello che altre ribellioni organizzate stanno costruendo in quelle aree geografiche. In altre parole, quelle persone vedono la stessa cosa che vediamo noi. Cioè, la tormenta.

Grazie a questi popoli fratelli abbiamo potuto ampliare la nostra visione, renderla più ampia. Cioè, non solo guardare più in là, ma vedere anche più cose. Più mondo.

Quindi noi, come popoli indigeni, ci chiediamo cosa facciamo, e se ne vale la pena, e se tutti lì lo vedano. Ma vediamo quei fratelli che si comportano come se non gli importasse cosa succede agli altri, pensano solo a se stessi, e poi tocca a loro. Credono di essere al sicuro chiusi in se stessi. Ma per niente.

IL CAMMINO DELLA MEMORIA.

Quindi abbiamo pensato, ricordato com’era prima. Ne abbiamo parlato con i nostri predecessori. Abbiamo chiesto loro se prima era così. Abbiamo chiesto loro di dirci se c’è sempre stata l’oscurità, la morte, la distruzione. Da dove viene questa idea del mondo? Com’è che è andato tutto a puttane? Pensiamo che se sapessimo quando e come si è persa la luce, il buon pensiero, la conoscenza di ciò che è bene e di ciò che è male, allora forse potremo ritrovarci e quindi lottare affinché tutto torni come dovrebbe essere, nel rispetto della vita.

E poi abbiamo visto come ciò è avvenuto: è avvenuto con la proprietà privata. E non si tratta di cambiare nome e dire che è una proprietà ejidale, una piccola proprietà o una proprietà federale. Perché in tutti i casi è il malgoverno a dare le carte. In altre parole, è il malgoverno che dice se qualcosa esiste e, con i suoi trucchi, cessa di esistere. Come ha fatto con la riforma di Salinas de Gortari contro la proprietà comunale, che esisteva solo se registrata e che, con le stesse leggi, la fanno scomparire. E anche i beni comunali registrati provocano divisioni e scontri. Perché quelle terre appartengono legalmente ad alcuni, ma contro altri. I documenti di proprietà non dicono “questo è tuo”, ma dicono “questo non è di quella persona, attaccala”.

E i contadini si sbattono per farsi dare un pezzo di carta che dice che quello che è loro è loro perché già ci lavorano. E i contadini fanno la guerra ai contadini nemmeno per un pezzo di terra, no, è per un pezzo di carta su cui è scritto a chi appartiene quella terra. E documenti, e aiuti economici sono un altro inganno. Perché si scopre che se hai un documento, ti danno un aiuto economico del programma sociale, ma ti chiedono di sostenere, ad esempio, un candidato perché quel candidato ti darà il documento e i soldi. Ma poi quello stesso governo ti sta ingannando perché vende quel documento a un’azienda. E poi arriva l’azienda e ti dice che devi andartene perché quella terra non è tua perché il documento adesso lo ha quel cazzo di imprenditore. E te ne devi andare con le buone o con le cattive perché hanno eserciti, polizia e paramilitari per convincerti ad andartene.

È sufficiente che l’azienda dica che vuole tali terreni perché il governo ne decreti l’esproprio e dica all’azienda di fare i suoi affari “per un po’”. Questo è quello che fanno con i megaprogetti.

E tutto per un dannato pezzo di carta. Anche se il pezzo di carta risale ai tempi della Nuova Spagna, non è valido per i potenti. È un inganno. Potete fidarvi e stare tranquilli finché il sistema non scopre che sotto la vostra povertà c’è il petrolio, l’oro, l’uranio, l’argento. Oppure che esiste una sorgente di acqua pura, perché l’acqua è ormai una merce che si compra e si vende.

Una merce come lo erano i tuoi genitori, i tuoi nonni, i tuoi bisnonni. Una merce come lo sei tu, e lo saranno i tuoi figli, i tuoi nipoti, i tuoi pronipoti, e così via per generazioni.

Quel documento è come le etichette delle merci nei mercati, è il prezzo della terra, del tuo lavoro, dei tuoi discendenti. E non te ne accorgi, ma sei già in fila alla cassa. E si scopre che non solo dovrai pagare, ma uscirai dal negozio e scoprirai che hanno preso la tua merce, che non hai nemmeno il documento per cui tu e i tuoi antenati avete combattuto così duramente. E che ai tuoi figli, forse, lascerai un documento, e magari nemmeno quello. I documenti del governo sono il prezzo della tua vita, devi pagare quel prezzo con la tua vita. Quindi sei una merce legale. Questa è l’unica differenza dalla schiavitù.

I più anziani ti dicono che il problema, la divisione, le discussioni e le risse, sono arrivate quando sono arrivati i documenti di proprietà. Non è che prima non ci fossero problemi, è che si risolvevano facendo un accordo.

E il problema è che puoi fare tanti documenti che suddividono la terra tante volte, ma la terra non cresce come le carte. Un ettaro è pur sempre un ettaro, anche se le carte sono tante.

Quindi, questo succede con quella cosa che chiamano Quarta Trasformazione e il suo programma Sembrando Vida: negli ejidos ci sono gli aventi diritto – che sono gli ejidatarios che hanno il suddetto documento di certificato agrario – e i richiedenti che, pur partecipando nella comunità, non hanno i documenti perché la terra è già distribuita. I richiedenti chiedono un pezzo di terra, ma in realtà chiedono un pezzo di carta che dica che sono agricoltori che lavorano la terra. Quindi non è che il governo viene a dire loro che quella terra è loro. No. Dice che se dimostreranno di possedere 2 ettari, riceveranno un sostegno finanziario. Ma da dove vengono quei due ettari? Beh, dagli aventi diritto.

In altre parole, il terreno che secondo il documento è di propria di uno, deve essere fatto a pezzi per i richiedenti. Deve essere suddiviso in modo che possano esserci più documenti dello stesso documento. Non è una distribuzione agraria, è una frammentazione della proprietà. E cosa succede se gli aventi diritto non vogliono o non possono? I loro figli vogliono il sostegno finanziario, ma hanno bisogno dei documenti. Quindi litigano con il padre. E le figlie? Le donne non contano nella suddivisione dei documenti. E i figli litigano a morte coi padri. E vincono i figli e con quel documento, perché la terra resta la stessa e continua a essere dov’era, ricevono i loro soldi. Con quel pagamento si indebitano, comprano qualcosa o mettono insieme qualcosa per pagare il coyote per andare negli Stati Uniti. Ma siccome non basta, vendono il documento a qualcun altro. Vanno a lavorare all’estero e si scopre che guadagnano per ripagare chi glieli ha prestati. Sì, inviano rimesse ai loro familiari, ma le loro famiglie le usano per ripagare il debito. Dopo un po’ quel figlio ritorna o viene restituito. Questo se non lo uccidono o lo rapiscono. Ma non ha più la terra, perché ha venduto il documento e ora quella terra appartiene a chi possiede il documento. Quindi ha ucciso suo padre per un documento che non ha più. Allora deve trovare i soldi per riacquistare il documento.

La popolazione cresce, ma la terra non cresce. Ci sono più documenti, ma è solo la stessa estensione di terra. Cosa succederà? Che in questo momento aventi diritto e richiedenti si stanno uccidendo tra loro, ma più tardi si uccideranno tra richiedenti. I loro figli combatteranno tra loro, proprio come lui ha combattuto con i suoi genitori.

Ad esempio: sei un avente diritto con 20 ettari e hai 4 figli. È la prima generazione. Distribuisci la terra o meglio il documento, ed ora c’è un documento per 5 ettari per ciascuno. Poi quei 4 figli fanno altri quattro figli ciascuno, seconda generazione, e distribuiscono i loro 5 ettari e ottengono così poco più di un ettaro ciascuno. Poi quei 4 nipoti hanno altri 4 figli ciascuno, terza generazione, e si dividono i documenti e ciascuno ottiene circa un quarto di ettaro. Poi quei pronipoti hanno 4 figli ciascuno, quarta generazione, e si dividono il documento e prendono un decimo di ettaro a testa. E non vado oltre perché solo in 40 anni, nella seconda generazione, si uccideranno a vicenda. Ecco cosa stanno facendo i malgoverni: seminano morte.

IL VECCHIO NUOVO CAMMINO.

Come è stato nella nostra storia di lotta quello che chiamano “base materiale?”

Bene, prima c’era l’alimentazione. Con il recupero delle terre che erano in mano ai latifondisti, la dieta migliorò. La fame non era più ospite nelle nostre case. Poi, con l’autonomia e il sostegno delle persone che chiamiamo “brave persone”, la salute è continuata a migliorare. Qui è stato ed è molto importante il sostegno dei medici fraterni, così li chiamiamo perché sono come nostri fratelli che ci aiutano non solo nelle malattie gravi. Anche e soprattutto nella preparazione, cioè nella conoscenza sanitaria. Poi l’istruzione. Poi il lavoro con la terra. Poi il governo e l’amministrazione delle comunità zapatiste stesse. Quindi il governo e la convivenza pacifica con chi non è zapatista.

La base materiale di questo modo di produzione, è la coesistenza del lavoro individuale-familiare con il lavoro collettivo. Il lavoro collettivo ha permesso il decollo delle compagne e la loro partecipazione nell’autonomia.

Diciamo che i primi 10 anni di autonomia, cioè dalla sollevazione alla nascita delle Giunte di Buon Governo, nel 2003, sono stati di apprendimento. I successivi 10 anni, fino al 2013, sono stati dedicati all’apprendimento dell’importanza del ricambio generazionale. Dal 2013 ad oggi si è trattato di verificare, criticare e auto-criticare errori di funzionamento, amministrazione ed etica.

In ciò che segue, avremo una fase di apprendimento e riadattamento. In altre parole ci saranno molti errori e problemi, perché non esiste un manuale o un libro che ti spieghi come fare. Faremo molte cadute, sì, ma ci rialzeremo ancora e ancora per continuare a camminare. Siamo zapatisti.

La base materiale o produttiva di questa fase sarà una combinazione di lavoro individuale-familiare, di lavoro collettivo e di questa nuova cosa che chiamiamo “lavoro comune” o “non proprietà”.

Il lavoro individuale-familiare si basa sulla proprietà piccola e personale. Una persona e la sua famiglia lavorano il loro pezzo di terra, il loro negozietto, il loro automezzo, il loro bestiame. Il guadagno o beneficio è per quella famiglia.

Il lavoro collettivo si basa sull’accordo tra compagne e/o compagni di lavorare sui terreni collettivi (assegnati così prima della guerra e ampliati dopo la guerra). Il lavoro è distribuito in base al tempo, alle capacità e alla disposizione. Il guadagno o beneficio è per la collettività. Viene solitamente utilizzato per feste, mobilitazioni, acquisizione di attrezzature sanitarie, formazione di promotori sanitari e di educazione, nonché per gli spostamenti e il mantenimento di autorità e commissioni autonome.

Il lavoro comune comincia, adesso, nella proprietà della terra. Una parte dei terreni recuperati vengono dichiarati di “lavoro comune”. Cioè non sono lottizzati e non appartengono a nessuno, né per piccola, media o grande proprietà. Questa terra non appartiene a nessuno, non ha proprietario. E le comunità vicine se la “prestano” a vicenda per lavorarci. Non può essere venduta o acquistata. Non può essere utilizzata per la produzione, lo spaccio o il consumo di stupefacenti. Il lavoro si svolge in “turni” concordati con i GAL e i fratelli non zapatisti. Il beneficio o il guadagno spetta a chi lavora, ma la proprietà no, è una non proprietà che si usa in comune. Non importa se sei zapatista, di un partito, cattolico, evangelico, presbiteriano, ateo, ebreo, musulmano, nero, bianco, scuro, giallo, rosso, donna, uomo, otroa. Puoi lavorare la terra in comune, con l’accordo dei GAL, CGAL e ACGal, per villaggio, regione o zona, che sono quelli che controllano il rispetto delle regole di uso comune. Tutto ciò che serve al bene comune, niente che vada contro il bene comune.

UNA CONDIVISIONE MONDIALE: LA GIRA POR LA VIDA.

Alcuni ettari di questa Non-Proprietà saranno proposti ai popoli fratelli di altre geografie del mondo. Li inviteremo a venire e lavorare queste terre, con le loro mani e la loro conoscenza. Cosa succede se non sanno lavorare la terra? Ebbene, le compagne e i compagni zapatisti insegneranno loro come fare, i tempi della terra e come prendersene cura. Crediamo che sia importante saper lavorare la terra, cioè saperla rispettare. Non credo faccia male a nessuno, così come si studia e si impara nei laboratori e nei centri di ricerca, studiare e imparare anche lavorando nei campi. Ancora meglio se questi popoli fratelli hanno conoscenza e modo di lavorare la terra e ci portano quella conoscenza e quei modi, ed è così che anche noi impariamo. È una condivisione non solo a parole, ma nei fatti.

Non abbiamo bisogno che vengano a spiegarci lo sfruttamento, perché lo viviamo da secoli. Né che vengono a dirci che dobbiamo morire per ottenere la libertà. Lo sappiamo e lo mettiamo in pratica ogni giorno da centinaia di anni. Ciò che è benvenuto è la conoscenza e la pratica per la vita.

Guarda, la delegazione che è andata in Europa ha imparato tante cose, ma la cosa più importante che abbiamo imparato è che ci sono tante persone, gruppi, collettivi, organizzazioni che cercano un modo per lottare per la vita. Hanno un altro colore, un’altra lingua, altre usanze, un’altra cultura, un altro modo. Ma hanno il nostro stesso cuore di lotta.

Non cercano chi è il migliore, o che gli venga dato un posto nei malgoverni. Stanno cercando di guarire il mondo. E sì, sono molto diversi l’uno dall’altro. Ma sono uguali, o meglio siamo uguali. Perché vogliamo davvero costruire qualcos’altro, e quella cosa è la libertà. La vita.

E noi, comunità zapatiste, diciamo che tutte queste persone sono la nostra famiglia. Non importa che siano molto lontane. E in quella famiglia ci sono sorelle maggiori, fratelli maggiori, sorelline e fratellini. E non c’è nessuno migliore di n altro. Ma una stessa famiglia. E come famiglia ci sosteniamo a vicenda quando possiamo, e ci insegniamo a vicenda ciò che sappiamo.

E tutte, tutti, todoas, sono gente dal basso. Perché? Perché quelli sopra predicano la morte perché questo dà loro profitti. Quelli di sopra vogliono che le cose cambino, ma a loro vantaggio, anche se la situazione sta peggiorando sempre di più. Ecco perché saranno quelli in basso che combatteranno e stanno già lottando per la vita. Se il sistema è un sistema di morte, allora la lotta per la vita è la lotta contro il sistema.

Cosa succede dopo? Ebbene, ognuno costruisce la propria idea, il proprio pensiero, il proprio piano su ciò che è meglio. E ognuno forse ha un pensiero diverso e un modo diverso. E questo va rispettato. Perché è nella pratica organizzata che si vede cosa funziona e cosa no. In altre parole, non esistono ricette o manuali, perché ciò che funziona per uno potrebbe non funzionare per un altro. Il “comune” mondiale è la condivisione di storie, di conoscenze, di lotte.

In altre parole, come si suol dire, il viaggio per la vita continua. Per la lotta.

Dalle montagne del sud-est messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, dicembre 2023. 500, 40, 30, 20, 10, 3, un anno, qualche mese, qualche settimana, qualche giorno, poco fa. Dopo.

P.S.- Al termine dell’intervista e dopo aver verificato che il senso delle sue spiegazioni fosse corretto, il Subcomandante Insurgente Moisés – che è portavoce zapatista ed ha ricevuto il comando 10 anni fa, nel 2013 – si accese l’ennesima sigaretta. Io accesi la pipa. Restammo a guardare lo stipite della porta della baracca. Il primo mattino lasciava il posto all’alba e le prime luci del giorno risvegliavano i suoni delle montagne del sud-est messicano. Non dicemmo altro, ma forse entrambi pensammo: “e manca quello che manca”.

P.S. CHE DICHIARA SOTTO GIURAMENTO. – In nessun momento e in nessuna fase della deliberazione che ha portato alla decisione dei popoli zapatisti sono emerse citazioni, note o riferimenti, anche lontani, di Marx, Engels, Lenin, Trotski, Stalin, Mao, Bakunin, el Che, Fidel Castro, Kropotkin, Flores Magón, la Bibbia, il Corano, Milton Freidman, Milei, il progressismo (se ha qualche riferimento bibliografico che non sia quello delle sue merde rosse), la Teologia della Liberazione, Lombardo, Revueltas, Freud, Lacan, Foucault, Deleuze, qualunque cosa sia di moda o modo a sinistra, o qualsiasi fonte proveniente da sinistra, destra o centri inesistenti. Non solo, so anche che non avete letto nessuna delle opere fondatrici degli ismi che alimentano i sogni e le sconfitte della sinistra. Da parte mia, do un consiglio non richiesto a chi legge queste righe: ognuno è libero di prendersi in giro, ma io consiglierei, prima di cominciare con stupidaggini come “il laboratorio Lacandona”, “l’esperimento zapatista”, e di categorizzarlo in un senso o nell’altro, di pensarci un po’ su. Perché, a proposito di ridicolo, sono ormai quasi 30 anni che le sparano grosse “spiegando” lo zapatismo. Forse adesso non ve lo ricordate, ma qui, quello che eccede, oltre alla dignità e al fango, è la memoria. È così.

In fede.

El Capitán

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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