correoslista de correosrecibe automáticamente las actualizaciones a tu correosíguenos en tuitersíguenos en facebook siguenos en youtubesíguenos en Vimeo

enlaceZapatista

Palabra del Ejército Zapatista de Liberación Nacional

May132021

Delfini!

Delfini!

Maggio 2021

Sono stati momenti drammatici. Messo alle strette, tra il cordame e il parapetto, il piccolo insetto minacciava l’equipaggio con la sua lancia, mentre con la coda dell’occhio osservava il mare agitato, dove un Kraken, della specie “kraken scarabeo” – specialista nel mangiare coleotteri – era in agguato. Quindi, l’intrepido clandestino si è fatto coraggio, ha sollevato al cielo le sue molteplici braccia e la sua voce ha ruggito, sovrastando il rumore delle onde che si infrangevano sullo scafo de La Montaña:

Ich bin der Stahlkäfer, der Größte, der Beste! Beachtung! Hör auf meine Worte! (Io sono lo scarabeo d’acciaio, il più grande, il migliore. Attenzione! Ascoltate le mie parole!)

L’equipaggio si è fermato di colpo. Non perché un insetto schizofrenico li avesse sfidati con uno stuzzicadenti e un tappo di plastica. Né perché parlava loro in tedesco. Ma perché sentendo la loro lingua madre, dopo anni a sentire solo dello spagnolo costiero tropicale, li ha trasportati nella loro terra come per un raro incantesimo.

Gabriela avrebbe poi affermato che il tedesco dell’insetto era più vicino al tedesco di un migrante iraniano che al Faust di Goethe. Il capitano ha difeso il clandestino, sostenendo che il suo tedesco era perfettamente comprensibile. E, siccome dove comanda il capitano non governa Gabriela, Ete e Karl hanno approvato, ed Edwin, sebbene avesse capito solo la parola «cumbia», è stato d’accordo. Quindi quello che vi sto narrando è la versione dell’insetto tradotta dal tedesco:

-*-

“L’esitazione dei miei aggressori mi ha dato il tempo di rifare la mia strategia difensiva, ricomporre la mia armatura (perché una cosa è morire in un combattimento impari e un’altra è farlo in disordine) e lanciare la mia controffensiva: una storia…

Qualche luna fa, sulle montagne del Sudest Messicano. Chi lì vive e lotta ha lanciato una nuova sfida per se stesso. Ma in quei momenti vivevano nell’ansia e nello sconforto perché non disponevano di un veicolo per la loro traversata. Così è stato fino a quando io, il grande, l’ineffabile, l’eccetera, Don Durito de La Lacandona A.C. de C.V. de (i)R. (i)L. sono arrivato in quelle montagne (le sigle, come tutti sanno, significano «Cavaliere Errante di Versatile Cavalcatura di Irresponsabilità Illimitata»). Non appena si è sparsa la voce del mio arrivo, una moltitudine di giovani donne, bambini di tutte le età e persino donne anziane, sono corse, vocianti e veloci, ad acclamarmi. Ma ho resistito e non ho ceduto alla vanagloria. Poi sono andato nelle stanze della persona incaricata della sfortunata spedizione. Per un attimo sono rimasto confuso: il naso impertinente di colui che faceva e rifaceva i conti impossibili per sostenere le spese della spedizione punitiva contro l’Europa, mi ricordava quel capitano che poi sarebbe stato noto come il SupMarcos, che ho guidato per anni e che ho educato con la mia saggezza. Ma no, anche se simile, chi si fa chiamare SupGaleano ha ancora molto da imparare da me, il più grande dei cavalieri erranti.

Alla fine, non avevano un’imbarcazione. Quando ho messo la mia nave a disposizione di quegli esseri, il suddetto Sup, sarcasticamente mi ha risposto: «ma lì c’è posto solo per uno, e deve anche essere molto piccolo, ed è… una scatola di sardine!», così riferendosi alla mia fregata, il cui nome, «Pon tus barbas a remojar» [proverbio popolare: Impara dagli errori degli altri – N.d.T.] era inciso a babordo, all’altezza della prua. Ho ignorato tanta impertinenza e, camminando tra la folla che anelava un mio sguardo, almeno una parola, mi sono diretto verso l’isola «Senza nome» scoperta da chi questo narra nel 1999. Ed ora sì, sulla sommità della sua coffa alberata, ho aspettato pazientemente l’alba.

Ho quindi maledetto l’inferno, evocato dee da tutte le latitudini chiamando la più potente tra loro: la strega scarlatta. Lei, la disprezzata dagli altri dei, dediti al machismo fanfarone e da spettacolo. Lei, scacciata dalle altre dee, dedite alla falsa bellezza di belletti e cosmetici. Lei, la strega scarlatta, la strega mayorOh, die scharlachrote Hexe! Oh, die ältere Hexe!

Sapendo che le possibilità per questi strani esseri, che si fanno chiamare zapatisti, di ottenere una barca dignitosa erano esigue, sapevo bene che solo il più potente dei poteri magici poteva tirarli fuori dai guai e mantenere la parola data. Ergo, ho chiamato la strega mayor, quella con le vesti purpuree, che può alterare la possibilità che qualcosa accada. Lei ha fatto conti su conti ed è arrivata alla conclusione che, in effetti, la probabilità di recuperare un’imbarcazione era quasi zero. Così ha detto:

Ma non posso fare nulla se non c’è una petizione. E non una petizione qualsiasi. Deve essere fatta da un Titano, un essere grande e magnanimo che di buon grado soccorra chi ha bisogno di un evento magico”.

E chi meglio di me?, ho ruggito sonoramente. La signora dalla veste cremisi ha sollevato la mano chiedendo il mio silenzio. «Non è tutto,» ha sussurrato. “È necessario che questo Titano rischi la sua vita, la sua fortuna e la sua reputazione nell’odissea che questi esseri intendono intraprendere. Cioè, che li accompagni con il suo incoraggiamento e bontà e, insieme a loro, sebbene non al loro fianco, affronti sfide e dolori. Questo è, sarà e non sarà».

Ero d’accordo, perché la mia unica fortuna sono le mie imprese, rischio la mia vita solo esistendo e, beh, la mia reputazione è nota nelle cantine di tutto mondo.

Quindi la sorella strega ha fatto quello che si fa in questi casi: ha acceso il suo computer, si è collegata a un server in Germania, ha digitato non so quale incantesimo, ha modificato un grafico di probabilità e ha aumentato la percentuale da quasi zero al 99,9%, ha digitato di nuovo e un ronzio della stampante ha rivelato la carta che ne usciva. Non senza prima aver apprezzato la modernizzazione tra la corporazione delle streghe scarlatte e simili, ho preso la nota. C’era solo una sola frase:

«Se il titano è d’acciaio, trovi il suo simile, da cui dipende il mancante».

Cosa significava? Dove avrei potuto trovare qualcosa o qualcuno, non dico simile, ma diciamo lontanamente vicino alla mia grandezza? Di Titani non ce ne sono molti. In effetti, secondo la wikipedia in basso e a sinistra, sono l’unico a prevalere. Poi «d’acciaio». L’uomo d’acciaio?, dubito; non credo che la strega scarlatta abbia raccomandato un maschio. Quindi una femmina o una femmina d’acciaio.

Ho camminato a lungo. Ho viaggiato dalla Patagonia alla lontana Siberia. Ho incrociato le strade con il degno Mapuche, ho gridato con la Colombia insanguinata, ho attraversato la dolente ma persistente Palestina, ho attraversato i mari macchiati dal nero dolore dei migranti, e ho ripercorso i miei passi credendo erroneamente di aver fallito nella mia missione.

Ma, sbarcato nella geografia che chiamano «Messico», qualcosa ha attirato la mia attenzione. Sulle acque turchesi una nave subiva le riparazioni e i rattoppi da parte del suo equipaggio. «Stahlratte» si leggeva sulla fiancata. Dal momento che ho incontrato la strega scarlatta nella Germania in basso, e che quella parola significa «ratto d’acciaio» nella sua lingua, ho deciso di tentare la fortuna. Ho aspettato, con saggia pazienza, che la notte e le ombre riparassero la solitudine della nave. Ho abilmente risalito la prua e, costeggiando il lato di dritta, sono arrivato dove si trova il centro di comando o di governo della nave. Qui, un uomo imprecava in lingua tedesca con maledizioni e bestemmie che avrebbero rattristato l’inferno stesso. Qualcosa diceva del dolore di lasciare i mari e le avventure. Seppi allora che la nave stava contando i suoi ultimi giorni e il suo capitano e l’equipaggio avevano incubi pensando ad una vita a terra. Le streghe scarlatte di tutto il mondo cospiravano a mio favore e per buona fortuna. Ma tutto dipendeva da me, lo scarabeo d’acciaio inossidabile, il più grande dei cavalieri erranti, ecc., per trovare «il mancante». Ho quindi aspettato che il capitano smettesse di lamentarsi e imprecare. Quando ha smesso e solo un singhiozzo gli si è smorzato in gola, sono salito sul timone e guardandolo negli occhi ho detto: «Io Don Durito, tu chi?». Il capitano non ha esitato a rispondere «Io capitano, tu clandestino» mentre brandendo un giornale o una rivista minacciava di sopprimere la mia bella e leggiadra figura. Allora, con voce potente mi sono presentato. Il capitano ha esitato restando in silenzio con il giornale o la rivista in mano.

Poi, sono bastate poche frasi per capire che eravamo persone di mondo, avventurieri per vocazione e scelta, esseri disposti ad affrontare qualsiasi sfida per quanto imponente e terribile potesse essere.

Ormai in confidenza, gli ho raccontato la storia di un’odissea in corso, qualcosa che avrebbe poi riempito gli annali delle storie a venire, il più pericoloso e ingrato dei compiti: la lotta per la vita.

Mi sono prodigato in dettagli, gli ho parlato di una barca costruita in mezzo alle montagne, senza altra acqua che quella della pioggia a darle vocazione e ragion d’essere. Gli ho parlato di chi aveva deciso di abbracciare tanta audacia, di leggende su una montagna che rifiuta la prigione dei suoi piedi per terra, di miti e leggende maya per voce delle loro origini.

Il capitano si è acceso una sigaretta, me ne ha offerta uno che ho dovuto rifiutare tirando fuori la mia pipa. Abbiamo così condiviso il fuoco e il fumo del tabacco.

Il capitano è rimasto in silenzio e, dopo qualche boccata, ha detto qualcosa del tipo: «Per me, sarebbe un grande onore unirmi a una causa così nobile e folle». Ed ha aggiunto: “Adesso non ho un equipaggio, perché ci stiamo ritirando, ma sono sicuro che donne e uomini si avvicineranno solo per il fascino di questa storia. Vai dai tuoi e di’ loro di contare su ciò che siamo, esseri umani e navi».

Terminato il mio racconto, mi sono rivolto a chi minacciava di gettarmi in mare: “Ed è così come voi, comuni mortali, vi siete imbarcati in questa avventura. Quindi lasciatemi in pace e tornate al vostro lavoro e doveri, che io devo vigilare che il Kraken lasci in pace la nostra casa e il nostro cammino. Per questo ho chiamato amici pesci che lo terranno assente».

-*-

Ed ecco che in quel momento qualcuno sul ponte grida «Delfini!» e tutt@ sono saliti sul ponte armati di macchine fotografiche, cellulari o solo dei loro occhi stupiti.

Nella confusione, Durito, il più grande dei Titani, l’unico eroe a livello dell’arte, complice di maghi e streghe, è sgusciato via e si è arrampicato, ora sì, sulla Coffa e da lì ha intonato canzoni che, giuro, venivano replicate dai delfini che, tra onde e sargassi, hanno ballato per la vita.

-*-

Più tardi, a cena, il capitano ha confermato la storia dell’insetto. E da quel momento l’insetto ha smesso di essere «l’insetto» e viene chiamato, a partire da quell’evento, «Durito Stahlkäfer«, «Durito, lo Scarabeo d’Acciaio«.

«Una tacca in più alla cintura», avrebbe detto il defunto SupMarcos, tre metri sottocoperta, ehm, volevo dire, sottoterra.

Ora, con cameratismo, Gabriela corregge la pronuncia tedesca di Stahlkäfer; sulla spalla di Ete, Durito sale in cima all’albero maestro; accompagna Carl quando prende il timone e lo diverte con storie terribili e meravigliose; sulla testa di Edwin lo guida nello spiegamento e nell’abbassamento delle vele; e la mattina presto condivide con il capitano Ludwig il tabacco e la parola.

E quando il mare infuria e il vento aumenta il suo lussurioso corteggiamento, il più grande esemplare della cavalleria errante, Stahlkäfer, intrattiene lo Squadrone 421 raccontando leggende incredibili. Come quella che racconta l’assurda storia di una montagna che si è fatta nave per la vita.

In fede.

SupGaleano
Pianeta Terra

Nota: Il video dei delfini chiamati da Stahlkäker è stato ripreso da Lupita, perché il team di supporto della Commissione Sexta, incaricato di tale missione, era impegnato… a vomitare. Sì, con pena degli altri. Ora la missione dello Squadrone 421 è supportare il team di supporto. E dobbiamo ancora attraversare l’Atlantico (sigh).

 

Música: «La Bruja», son jarocho interpretado por Sones de México Ensamble, con  Billy Branch. Imágenes: parte de la travesía de La Montaña, arribo y desembarco en Cienfuegos, Cuba; y reunión del Escuadrón 421 para mirar la página de Enlace Zapatista.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Share

No hay comentarios »

No hay comentarios todavía.

RSS para comentarios de este artículo.

Deja un comentario

Notas Importantes: Este sitio web es de la Comisión Sexta del EZLN. Esta sección de Comentarios está reservada para los Adherentes Registrados y Simpatizantes de la Sexta Declaración de la Selva Lacandona. Cualquier otra comunicación deberá hacerse llegar por correo electrónico. Para evitar mensajes insultantes, spam, propaganda, ataques con virus, sus mensajes no se publican inmediatamente. Cualquier mensaje que contenga alguna de las categorías anteriores será borrado sin previo aviso. Tod@s aquellos que no estén de acuerdo con la Sexta o la Comisión Sexta del EZLN, tienen la libertad de escribir sus comentarios en contra en cualquier otro lugar del ciberespacio.


Archivo Histórico

1993     1994     1995     1996
1997     1998     1999     2000
2001     2002     2003     2004
2005     2006     2007     2008
2009     2010     2011     2012
2013     2014     2015     2016
2017     2018     2019     2020
2021     2022     2023

Comunicados de las JBG Construyendo la autonomía Comunicados del CCRI-CG del EZLN Denuncias Actividades Caminando En el Mundo Red nacional contra la represión y por la solidaridad