ALCHIMIA ZAPATISTA
2 gennaio 2017
Il valore della parola è qualcosa a cui teniamo molto. Quando ci riferiamo a qualcuno, non solo lo nominiamo, ma nominiamo anche il suo stare con noi.
Così diciamo «fratello», «sorella»; ma quando diciamo «compagna», «compagno» parliamo di un andare e venire, di qualcuno che non sta fuori, ma che, insieme a noi, guarda ed ascolta il mondo e lotta per lui.
Dico questo perché è qui, insieme a noi, il compagno zapatista Don Pablo González Casanova che, com’è evidente, è in sé stesso un municipio autonomo ribelle zapatista.
Poiché il compagno Pablo González Casanova è qui, tenterò di alzare il livello ed il rigore scientifico della mia esposizione, evitando giri di parole e doppi sensi (grandi o piccoli, fate attenzione).
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Alchimia. Prima che esauriate il vostro credito consultando in «Wikipedia» nei vostri cellulari e tablet cos’è «alchimia» e che mi inondiate con ogni tipo di definizione, vi dico subito che con questo ci riferiamo ad un precedente, al passaggio precedente (se è necessario o no, vedete voi) alla costituzione di una scienza come tale. O come diceva il defunto SupMarcos, «l’alchimia è una scienza malata, una scienza invasa dai parassiti della filosofia, del «sapere popolare», e le evidenze che saturano il complesso mondo della comunicazione attuale», come si può leggere in uno dei documenti che ha lasciato alla sua morte.
In quel testo, il defunto segnalava che l’alchimia non era necessariamente il precursore della scienza nel senso che «tutta la scienza era alchimia prima di essere scienza», ma era una non-scienza che aspirava ad essere scienza. Dice anche che l’alchimia, a differenza delle pseudo scienze, non costruisce in base ad un misto di verità e conoscenze, con evidenze e luoghi comuni. La pseudo scienza, sostiene, non si avvicina alla scienza, ma si separa da essa e diventerà il suo nemico più feroce e con maggiore successo di diffusione in una situazione di crisi; non costituisce una spiegazione alternativa della realtà (come nel caso della religione), bensì un «ragionamento» che supplisce, invade e conquista il pensiero scientifico, battendolo nella battaglia più importante in una società mediatica: quella della popolarità.
La pseudo scienza non vuole né aspira all’argomento della fede, della speranza e della carità, ma offre una spiegazione con una struttura logica che «inganna» la ragione. Semplicemente: la pseudo scienza è una frode propria della ciarlataneria che abbonda nell’accademia.
L’alchimia, d’altra parte, aspira a liberarsi, a «curarsi», a «purgare» i parassiti che sono gli elementi non-scientifici.
Benché reclami per sé il dubbioso diritto della maternità delle scienze, la filosofia, chiamata «la scienza delle scienze», è, sempre seguendo il testo del defunto, uno di quei parassiti. «Forse il più pericoloso», continua la buonanima, «perché si presenta alla scienza come la consolazione dell’affermazione-negazione del «non so» contro cui, presto o tardi, va a sbattere la scienza. L’affanno per il razionale, porta la scienza a supplire alla religione con la filosofia, quando arriva al limite».
Per esempio, se non avesse la capacità di spiegare scientificamente perché piove, invece di ricorrere all’argomento che è dio che decide le precipitazioni, la scienza preferirà un ragionamento del tipo «la pioggia non è altro che una costruzione sociale, con apparenza teorico-empirica, intorno ad una percezione aleatoria che si presenta nel contesto di una continua conflagrazione tra l’essere e il non-essere; non è che se piove ti bagni, ma la tua percezione di «bagnarti» è parte fluttuante di una decolonizzazione universale».
Sebbene tutto questo si possa riassumere in “è tipico della pioggia se cade o ti cade addosso”, la scienza abbraccerebbe quella strana spiegazione, tra le altre cose, perché la scienza crede che la sua capacità di spiegazione sta nel linguaggio, e non nel potere di rendere possibile la trasformazione della realtà. «Conoscere per trasformare» ci hanno detto qui qualche giorno fa. La filosofia concede volentieri alla scienza il suo certificato di legittimità: “sei scienza quando raggiungi una logica nel linguaggio, non quando puoi conoscere”.
Se andiamo oltre, per «l’alchimia zapatista», la scienza non solo conosce la realtà e ne facilita così la trasformazione, ma anche la conoscenza scientifica «si fa strada» e definisce nuovi orizzonti. Cioè, per l’alchimia zapatista, la scienza soddisfa il suo compito arrivando continuamente al «manca quello che manca».
Se nel pensiero filosofico e scientifico del secolo scorso le scienze «smontavano» le spiegazioni religiose offrendo una conoscenza accertabile, nella crisi a venire le pseudo scienze non affrontano la realtà con una spiegazione magica, ma «invadono» o «parassitano» le scienze, prima con l’obiettivo di «umanizzarle», poi con lo scopo di soppiantarle.
Le filosofie diventano così, non più il tribunale che sanziona la scientificità secondo la struttura logica del linguaggio, bensì la spiegazione generica, naturista ed omeopatica, di fronte alla spiegazione di «patente» scientifica. Per farmi capire: per la filosofia postmoderna, le micro dosi sono l’arma migliore contro i grandi monopoli farmaceutici.
La popolarità delle pseudo scienze radica nel fatto che non è necessaria la formazione scientifica, basta nutrirsi degli inganni del linguaggio, supplire all’ignoranza con la pedanteria mal dissimulata, ed alle evidenze e luoghi comuni con l’elaborazione linguistica complessa.
Di fronte ad un’affermazione del tipo: «la legge della gravitazione universale afferma che la forza di attrazione che sperimentano due corpi dotati di massa, è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa», la scienza ricorrerà all’osservazione e alla sperimentazione, mentre la filosofia analizzerà il ragionamento logico nel linguaggio.
Un altro esempio: un’asseverazione delle Neuroscienze, del tipo «una lesione nell’area 17 del lobo occipitale può causare cecità corticale o punti ciechi, a seconda dell’estensione della lesione», può essere comprovata con una risonanza magnetica funzionale, con un elettroencefalogramma o tecnologie simili.
Per questo, chiaro, è stato necessario che la scienza progredisse fino a riuscire a studiare il cervello e spiegare le sue parti, ma è stato anche necessario lo sviluppo di altre scienze che hanno permesso la tecnologia per ottenere neuro-immagini funzionali.
Quando, su raccomandazione di una compa, ho letto quell’eccellente testo dal titolo «L’uomo che confuse sua moglie con un cappello», del neurologo Oliver Sacks, ho pensato che Sacks era rimasto con la voglia di aprire la testa a quell’uomo per vedere che cosa passava nel suo cervello. Anche se io avrei preferito aprire la testa alla moglie per capire come aveva potuto sopportare che l’avessero confusa in quel modo e non avesse «sistemato» suo marito a suon di ceffoni.
Ora il progresso scientifico tecnologico renderà possibile studiare, per esempio, quello che succede nel cervello del Gatto-cane senza bisogno di aprirgli la testa.
Tuttavia, di fronte alla spiegazione scientifica del funzionamento del cervello, la pseudo scienza offrirà la propria spiegazione utilizzando un linguaggio apparentemente scientifico e ci dirà che i problemi che abbiamo si devono al fatto che non abbiamo sviluppato la capacità del funzionamento cerebrale. Così pullulano le teorie secondo le quali l’intelligenza si misura sulla percentuale di utilizzo del cervello. Una persona più intelligente è quella che usa una percentuale maggiore del cervello. Per esempio, Donald Trump ed Enrique Peña Nieto avrebbero in comune che usano lo 0,00001% del cervello, mentre Einstein diciamo che ne avrebbe usato il 30%. Il successo del film «Lucy» non è solo del botteghino e perché è di Luc Besson e c’è la mia ex, Scarlett Johansson, ma è perché mostra dei ciarlatani che offrono dei corsi affinché diventiate più intelligenti con «tecniche scientifiche» per approfittare al massimo della capacità cerebrale.
Così si è dimostrato fugace il successo della commercializzazione di prodotti contenenti feromoni per attirare il sesso opposto («se lei, mio caro, non acchiappa neanche l’autobus, non è perché non si stacca dallo schermo della tv o del computer, ma perché non usa quel sapone profumato che, al primo utilizzo, vedrà come le saltano addosso come se fosse lo youtuber, tuitstar, o il meme di moda. Guardi, solo e soltanto per questa volta abbiamo questa offerta di 333 al prezzo di 2 ma solo se nei prossimi 15 minuti segna il numero che appare sullo schermo. Ricordi di avere a portata di mano il numero della sua carta di credito. Non ha la carta di credito? Mannaggia, per questo lei non becca neppure il raffreddore; no, amico, amica, non le serviranno neppure i feromoni. Meglio cambiare canale o mettersi a guardare video comici, di profezie di Nostradamus o cose simili che le diano materiale di conversazione nelle chat room di sua preferenza).
Ma in loro soccorso arriva la baggianata della «capacità cerebrale», che sostituisce le lozioni ai feromoni con prodotti che sviluppano le capacità cognitive e tu, amica, amico, potresti essere una persona di successo ed imparare a pilotare e riparare navi interstellari su youtube.
Forse questo progetto, che non è né moderno né postmoderno, non sarebbe così appoggiato perfino da qualche scienziato@, se sapessero che uno dei suoi promotori è stato Dale Carniege, con il suo best seller di promozione personale – che data 1936 – dal titolo «Come conquistarsi gli amici ed avere influenza sulle persone», il libro preferito di John M. Ackerman.
In sintesi, mentre gli scienziati tentano di confermare o scartare le loro ipotesi su come funziona il cervello, gli pseudo scienziati ti vendono corsi di ginnastica cerebrale e cose per lo stile.
E, in generale, mentre le scienze richiedono rigore, studio, teoria e pratica esaustive, le pseudo scienze offrono il sapere a portata di un click di quell’oscuro oggetto del desiderio del Gatto-cane: il mouse del computer.
Ovvero, la scienza non è facile, costa, esige, richiede, obbliga. È ovvio che non sia popolare neppure tra la comunità scientifica.
E poi la scienza non fa niente per sé stessa e finisce per spezzarti il cuore senza nessuna pietà. A me per esempio, è successo. Dovete essere forti e maturi per quello che vi dirò. Sedetevi, rilassatevi, mettetevi in armonia con l’universo e preparatevi a conoscere una cruda e crudele verità. Siete pronti? Bene, sembra che la moka o moca [dolce al caffè – n.d.t.] non esiste, non c’è una cosa come un albero di moka o un minerale di moka. La moca non è una creazione degli dei primordiali per alleviare la vita e la morte del SupMarcos. Non è il frutto proibito con cui il serpente, mascherato da venditrice di cosmetici ringiovanenti, ha ingannato quella maledetta Eva che, a sua volta, ha irretito il nobile Adamo ed ha fatto crollare tutto. Non è neppure il sacro graal, la pietra filosofale che muove la ricerca della conoscenza. No, risulta che… la moka è un ibrido o un miscuglio o qualcosa di così. Non mi ricordo di cosa con che cosa, perché, quando me l’hanno detto, mi sono depresso più di quando uno degli scienziati ha detto che il più brillante alchimista non era presente, e allora, lo confesso, mi sono dato al vizio e alla perdizione. Mi sono allontanato dalle distrazioni mondane ed allora ho capito il successo delle filosofie e delle pseudo scienze attualmente in voga. Per quale motivo vivere se la moka non è altro che una costruzione dell’immaginario sociale? Allora ho compreso meglio quel filosofo spontaneo che avrebbe avuto un grande successo sui social network e che rispondeva al nome di José Alfredo Jiménez. «Strade di Guanajuato» sarebbe stata la Kritik der reinen Vernunft che Kant non ha potuto elaborare.
Ma, nonostante ferite e cicatrici, i vostri interventi cominciano a produrre effetti:
Un ufficiale insurgente ha ascoltato l’intervento del Dr. Claudio Martínez Debat riguardo all’eredità genetica, ed ha concluso che è vero. «L’ho subito applicato ai popoli e sì, se un compa si comporta in un certo modo, è perché suo papà o anche sua mamma si comportano così. Per esempio, se il SubMoy ha un brutto carattere, è perché suo papà aveva un brutto carattere».
«Ah», gli ho detto, «allora il SubMoy si arrabbia con noi, non perché non svolgiamo i nostri compiti, ma perché suo papà aveva un brutto carattere?».
La ricerca scientifica si è però subito interrotta perché in quel momento è arrivato il SubMoy a controllare se avevamo preparato le cose per andare ad Oventik. Ovvero, ci ha beccato in flagrante.
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Questo è un incontro tra le e gli zapatisti e le scienze. Abbiamo aggiunto «con» a «scienze» non solo per il gioco di parole, ma anche perché l’aver accettato di incontrarci, va oltre il vostro ambito e potrebbe implicare anche una riflessione sul mondo, oltre alla spiegazione di quello di cui vi occupate nelle vostre rispettive specializzazioni.
Già nei nostri precedenti interventi, il Subcomandante Insurgente Moisés e chi dice e scrive questo, ci stiamo sforzando di fornirvi dei dati affinché vi facciate un’immagine (un profilo si direbbe ora), del tipo di zapatista che è interessato ad imparare da voi.
Proseguiamo nell’impegno perché, come abbiamo segnalato anche in un altro intervento, la nostra aspirazione è che questo incontro si ripeta, e si moltiplichi quantitativamente e qualitativamente.
Con i vostri interventi, voi ci date non solo alcuni segni della vostra conoscenza, ma anche del perché avete accettato il nostro invito e siete qui presenti, di persona o attraverso testi, audio e video.
Perché abbiamo bisogno della scienza, siamo qui insieme al SubMoy, a spiegare i nostri incantesimi, per convincervi che qui, con noi, potete e dovete fare scienza.
Per questo non vi parliamo di scienza, bensì di quello che siamo stati e siamo, di quello che vogliamo essere.
Facciamo quello che possiamo. Non possiamo offrirvi borse di studio, risorse, riconoscimenti che ingrossino il vostro curriculum vitae. Non possiamo nemmeno farvi avere, non diciamo un posto di lavoro, ma almeno qualche ora di lezione in cattedra.
Certo, potremmo tentare il ricatto di fare una faccia da «sono un povero zapatista che vive in montagna».
O insinuare con voce suadente: “Tons qué mi plebeyoa, vámonos a Querétaro las manzanas, poninas dijo popochas, y pin pon papas, ya ve que dicen los científicos que ya no produzcan la producción porque el mundo está como vagón del metro a las 0730, y que ya no hagan productos, que mejor adopten; tons usted y yo vamos como quien dice a darles su surtido rico, de lengua y de maciza, para que tengan opciones, si sale varoncito le damos hasta que salga la niña, o al revés volteado, así hasta por pares, el asunto es que no importa ganar sino competir”.
O con un DM che inviti: “forza, decostruiamo gli abiti e contestualizziamo le nostre parti intime”.
O mandarvi un whatsapp che suggerisca: “tu, io, un acceleratore di particelle, non so, pensaci”.
Potremmo, anche se è sicuro che non avremmo successo.
Quello che pensiamo è di fare quello che stiamo dicendo: mostrarci come siamo e come siamo arrivati ad essere quello che siamo.
Perché non vi sentiate in imbarazzo nel sapere che siete non solo ascoltati, ma anche valutati (in chiusura di questo incontro, il giorno 4, ci sarà la valutazione dell’incontro da parte dei 200 incappucciati ed incappucciate, nostri compagni e compagne, basi di appoggio zapatiste), cerchiamo di fornirvi degli elementi affinché voi ci valutiate e possiate rispondervi alla complessa domanda se ritornerete, o archivierete questi giorni nella cartelletta “da non ripetere mai più”.
Questa valutazione sarà il nostro primo dissapore, e dovremo decidere se lo supereremo da persone mature ricorrendo ad una terapia di coppia, o se ci fermeremo lì.
In ogni caso, c’è da sperare che nel viaggio di ritorno ai vostri luoghi, vi diciate: «porca miseria, ed io che mi lamentavo del Conacyt e del suo Sistema Nazionale di Ricercatori».
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Prima vi dicevo che una strada per conoscerci era domandare perché domandavamo quello che domandavamo, cosicché altre domande potrebbero essere «che cosa intendente o sperate dalla scienza e dagli scienziati?».
Per noi, la scienza significa la conoscenza che non dipende da altri fattori. Attenzione, la scienza, non l’investigazione scientifica. Cioè, per esempio, la scienza esatta per antonomasia, la matematica o le matematiche. C’è una matematica capitalista ed una del basso e a sinistra? Faccio questo esempio estremo perché, a partire da scienze in fase di costituzione, o «giovani» come si dice, con i comprensibili errori e «inciampi» esplicativi, si generalizza e si dice «la scienza è colpevole di questo e quest’altro». «La scienza è razzista, discrimina, non prende in considerazione il dramma personale e passionale dello scienziato», e da qui, nell’apocalisse del gatto-cane, si trasforma nella «madre di tutte le disgrazie».
Noi, zapatiste e zapatisti, non facciamo scienza, ma vogliamo impararla, studiarla, conoscerla, applicarla.
Conosciamo il corteggiamento delle pseudo scienze ed il loro percorso di ottimizzazione della povertà: il voler raggirarci dicendoci che le non-conoscenze che abbiamo sono, in realtà, «sapere«, dicono.
Tralasciando che invariabilmente questa posizione viene da chi non ha mai fatto scienza, cioè, non oltre gli esperimenti di laboratorio alle superiori.
Così ci dicono, e come esempio segnalano che noi sappiamo quando bisogna seminare. Certo che sappiamo quando bisogna seminare, identifichiamo certi «segnali» della natura e, per usi e costumi, sappiamo che bisogna piantare il seme.
Ma non sappiamo perché con quei segnali indicano l’inizio della semina, né quale sia la relazione tra quei segnali.
L’interesse della gioventù zapatista per la scienza (come nell’esempio dell’estafiate [artemisia – n.d.t.] di cui ci ha parlato il Subcomandante Insurgente Moisés alcuni giorni fa) trova eco e sostegno ormai tra adulti ed anziani, perché il cambiamento del clima ha reso i segnali confusi.
Succede che ora, col cambiamento climatico, i tempi di «secca» o di pioggia si sono alterati. Ora piove quando non deve, e non piove quando deve. Il freddo si fa più breve per durata e intensità. Animali che si suppone appartengano a determinate zone, cominciano ad apparire in altre che non hanno né vegetazione né clima simili.
Quando la pioggia tarda e la semina è in pericolo, nei villaggi usano lanciare dei petardi in cielo «affinché la nuvola si svegli», o per far sapere a dio che è orami tempo di pioggia, cioè ricordare a dio il suo lavoro nel caso si sia distratto. Ma sembra che o dio è molto occupato, o non ascolta, o che non ha niente a che vedere con il prolungarsi della siccità.
Vedete dunque che non basta la conoscenza ancestrale, se si può definire conoscenza.
Così, quello che qualcuno chiama «il sapere ancestrale» degli indigeni, si scontra con un mondo che non capiscono che non conoscono e, invece di consolarsi negli eremi o nelle chiese, o ricorrere alla preghiera, le zapatiste, gli zapatisti, si rendono conto di avere bisogno della conoscenza scientifica, non per curiosità, ma per il bisogno di fare qualcosa di reale per trasformare la realtà o combatterla in condizioni migliori.
Per questo le generazioni che hanno preparato e realizzato la sollevazione, quelle che hanno sostenuto la resistenza con la ribellione, e quelle che sono cresciute nell’autonomia e mantengono la ribellione e la resistenza, cominciano a prendere coscienza di una necessità: la conoscenza scientifica.
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Non sappiamo quanto la scienza sia sensibile all’opinione pubblica, alle reti sociali, all’imposizione di indirizzi o spiegazioni, non per pressione economica, il Potere, il sistema, ma per auto censura.
Non sappiamo se esisterà qualcosa che si possa chiamare «un’altra scienza», e se questo corrisponderà al tribunale mediatico o sociale che giudica, condanna ed esegue la sentenza contro le scienze.
A chi corrisponde la costruzione dell’altra scienza, se c’è qualcosa che si chiami così?
Noi, zapatiste, zapatisti, pensiamo che corrisponda alla comunità scientifica. Ad essa, indipendentemente dalle vostre fobie e filiazioni, dalla vostra militanza politica o no. E pensiamo che dovete resistere e combattere i parassiti che vi minacciano, o che già sono in voi e vi debilitano.
Per questo, anche se non riusciremo a trovare la maniera di convincervi che anche il nostro è uno sforzo per la vita e che abbiamo bisogno di voi in questa determinazione, voi dovete andare avanti senza sosta, senza darvi tregua, senza fare concessioni, né a noi né a nessuno.
Dovete proseguire perché il vostro impegno è con la scienza, cioè, con la vita.
Molte grazie.
Dal CIDECI-Unitiera, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.
SupGaleano.
Messico, gennaio 2017
Dea Quaderno di Appunti del Gatto-Cane.
Il 3di3 del Gatto-Cane
Non so se ancora si fa, ma circa 10-12 anni fa, si cantava-ballava lo ska. Ricordo vagamente che si organizzavano concerti per la banda ed in solidarietà con le varie lotte di popolo. Non so neanche se ancora si faccia tutto questo, ma in quei concertini, il ricavato, invece che soldi, la paga, i quattrini, la grana, era un chilo di riso, fagioli o zucchero che venivano poi mandati a quei movimenti. Alcuni di quei concerti erano in appoggio alla resistenza delle comunità zapatiste ed in quell’occasione, credo nel 2004, mi mandarono alcune videocassette dove si vedeva solo una nuvola di polvere in cui, vagamente, la banda saltava come se avesse le formiche nel culo al ritmo di «La Carencia», che è quello che «Difesa Zapatista» ha trovato cercando in internet il significato della suddetta parola. Dissi al compa che non si vedeva un accidenti, e mi rispose che forse era colpa del mio computer, perché nel suo si vedeva, cito testualmente, «fico, amico, fico».
Quindi risultò che il suo computer era di quelli ultramoderni, con cambio manuale, eliporto, bowling e minibar, mentre il mio aveva ancora il sistema operativo DOS, e che la cosa più moderna che leggeva erano i dischetti da 5¼ (che era come tentare di leggere la «Pietra del Sole» che si trova, o si trovava, nel Museo Nazionale di Antropologia, con l’aiuto disinteressato di IBM).
Durante una visita in queste montagne, il compa diede una controllata al mio computer portatile e sentenziò, cito testualmente: “no pos está cabreras, y pior que ni es el video original, ése quién sabe de quién es, éste el efectivo, el merengues mendez”, ed inserì un altro video preso al chiosco. E si è così potuto ascoltare il gruppo che aveva vari tipi di pupazzi di peluche. Se ancora questa musica si suona, si canta e si balla, devono essere morti di invidia quando hanno visto i pupazzi di Sherlock Holmes ed Einstein durante il primo incontro.
Bene, sembra che in quel periodo il defunto SupMarcos, con i musicanti che si chiamano «Pantheon Rococò», registrò un cidi che si chiamava «3 volte 3», anche se ignoro la causa, il motivo o la ragione di un simile titolo. Questo capita a proposito, perché è qui, forse, dove si può trovare il precedente di quello che chiamano il «3di3». Ora che è ormai di dominio pubblico che il Congresso Nazionale Indigeno formerà un Consiglio Indigeno di Governo e presenterà la portavoce di detto Consiglio come candidata alla presidenza della repubblica messicana nel 2018, il Gatto-Cane si è sentito in obbligo di presentare la sua dichiarazione «3di3», e nel caso ti addormentassi, per stare sul sicuro, è meglio che ti siedi altrimenti cadi. Vai:
1 di 3: L’intelligenza Artificiale contro l’Intelligenza Zapatista.
“Il sistema politico è stato hackerato”, recita il messaggio che lampeggia su tutti gli schermi del sistema di Intelligenza Artificiale della Società del Potere.
La Chat Room si apre. Quasi simultaneamente compaiono diversi “nickname”, alquanto ridicoli.
Inizia un chiacchiericcio confuso che cessa immediatamente quando appare il nickname «Bossy».
Non è una riunione come un’altra. E non mi riferisco al fatto che nessuno sia presente di persona. Neppure appaiono gli avatar di rigore. Solo voci.
Ma ogni voce conosce il suo posto nella gerarchia. Meno parla, maggiore è il suo rango.
In quel mentre, una voce dice:
«Non credo che ci sia realmente da preoccuparsi. È chiaro che questo non farà altro che saturare ancora di più il centro. Un’opzione in più per chi crede di scegliere e decidere. Non lo vedo come un grande problema, bisogna lasciarli proseguire. E, poi, questa geografia è già definita da tempo. Suggerisco di passare ad un altro argomento…
Un’altra voce si inserisce e dal tono titubante si indovina il suo livello:
«Scusate. Credo che non dobbiamo sottovalutare quello che vogliono. Rendiamoci conto che non era nemmeno contemplato tra le migliaia di scenari previsti dai nostri sistemi. In realtà, non ce ne siamo accorti fino a che gli schermi non ci hanno avvisato.
Quando abbiamo lampeggiare «Warning. Il sistema politico è stato hackerato», abbiamo pensato che fosse un’altra incursione degli hacker e che non ci sarebbe stato di che preoccuparsi. I firewall si sarebbero incaricati non solo di vanificare l’attacco, ma anche di contrattaccare con un virus che avrebbe riportato l’intruso alla comunicazione con i segnali di fumo. Invece no, il sistema non ha neppure avvertito della presenza di un virus o di un rischio di infiltrazione. Semplicemente ha segnalato che c’era qualcosa di cui non aveva neanche una definizione per classificarlo».
Altra voce, stesso volume, uguale tono:
«Concordo. La proposta è troppo rischiosa, come se si accontentassero di disputare il centro. Stavo facendo i conti, e credo che mirino a chi neppure appare nelle nostre statistiche. Quella gente ci vuole distruggere».
Varie voci si sollevano in mormorii. Gli schermi lampeggiano con testi in caratteri illeggibili per i non addetti.
Una voce esclama con autorità:
“Che cosa suggerite?”.
«Il vuoto», ha detto un’altra voce, «che i media guardino da un’altra parte. E che la sinistra perbene li attacchi. Il razzismo non gli manca, e basterà qualche insinuazione ed andranno avanti per inerzia. L’abbiamo già fatto prima, quindi non ci saranno problemi».
“Procedete” ha detto la voce con l’autorità e diversi schermi è lampeggiata la parola “Offline”.
Sono rimaste a chattare solo le voci più piccole:
“Bene”, ha detto una, «credo che dovremo combattere un’altra volta con sorprese non previste, come quella del 1994”.
«E tu che cosa faresti?».
«Mmm… Ricordi la barzelletta di qualche anno fa che se volevi prepararti per il futuro dovevi imparare il cinese? Bene, io raccomanderei di cominciare a studiare lingue originarie. E tu?».
«Potremmo tentare di trovare un ponte, qualche tipo di comunicazione”.
«Per quale motivo?”.
«Per negoziare condizioni dignitose in prigione. Perché non credo che quella gente possa concedere alcuna amnistia, né anticipata né a posteriori”.
«E tu che cosa suggerisci?».
Una voce, fino a quel momento rimasta in silenzio, dice:
«Direi di imparare, ma credo che sia ormai troppo tardi per questo».
«Ma ho un’ipotesi», continua, «quello che è successo è che l’Intelligenza Artificiale che anima il nostro server centrale funziona con i dati coi quali lo alimentiamo. In base a questi, la IA prevede tutti gli scenari possibili, le loro conseguenze e le misure da prendere. È successo invece che quello che hanno fatto non stava in nessuno dei nostri scenari, la IA, come si dice, è andata in tilt e non ha saputo che cosa fare, ed ha attivato simultaneamente l’allarme anti hacker e antivirus e proposto la reazione allo scenario più a portata di mano, cioè, il SupMarcos come aspirante alla presidenza».
Un’altra voce lo interrompe: “Ma, il Marcos non è morto?”.
“Sì”, risponde un altro, “ma fa lo stesso”.
«Cioè, ce l’hanno fatta ancora una volta, dannati zapatisti».
«E non c’è rimedio?».
«Non so voi, ma io ho già prenotato il volo per Miami».
«Io guardo con timore quella massa di indios, non avrei mai pensato che avrebbero potuto arrivare a comandare».
Quasi contemporaneamente, sui vari schermi lampeggia la stessa frase: “Standby mode”.
Le luci rosse restano accese. Le sirene di allarme suonano senza sosta, allarmate, isteriche.
Lontano da lì, alcune donne del colore che siamo della terra, spengono i loro computer, sconnettono il cavo del server, e sorridono parlottando in una lingua incomprensibile.
Sopraggiunge una bambina che chiede in spagnolo: “Mammine, ho finito il compito, possiamo andare a giocare? È che non abbiamo ancora completato la squadra, ma non preoccupatevi mammine, saremo in tanti, presto saremo sempre di più”.
Le donne escono correndo con la bambina. Corrono e ridono come se alla fine ci fosse un domani.
In fede.
Bau-Miao.
Nota: Alla domanda del perché la sua dichiarazione «3di3» avesse solo una parte e non le 3 come indica il suo nome, il Gatto-cane ha risposto grugnendo e facendo le fusa: “manca quello che manca”.
Traduzione “Maribel” – Bergamo
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