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Palabra del Ejército Zapatista de Liberación Nacional

May312016

MAGGIO: TRA AUTORITARISMO E RESISTENZA

MAGGIO: TRA AUTORITARISMO E RESISTENZA

¿Il calendario? Maggio 2016.

¿La geografia?

Beh, potrebbe essere ovunque in questo paese graffiato a sangue dalle sparizioni forzate, l’impunità fatta istituzione, l’intolleranza come forma di governo, la corruzione come modus vivendi di una classe politica puzzolente e mediocre.

Ma potrebbe anche essere una qualsiasi parte di questo paese sanato dalla caparbietà dei famigliari che non dimenticano i loro assenti, la ricerca tenace di verità e giustizia, la resistenza ribelle contro i colpi, i proiettili, le sbarre, il desiderio di costruire un sentiero proprio senza proprietari, senza padroni, senza salvatori, senza guide, senza capi; la difesa, la resistenza, la ribellione; la crepa si fa più ampia e profonda a forza di dolore e di rabbia.

«Messico», viene chiamato abitualmente questo paese, questo paese che riflette a suo modo una crisi che scuote il mondo intero.

Sembra che, ad un certo punto nella breve e intensa storia del XX° secolo, questo paese sia stato un punto di riferimento del turismo internazionale. Si è parlato dei suoi paesaggi, della sua gastronomia, dell’ospitalità della sua gente, di quanto perfetta fosse la sua dittatura.

Ma prima e durante quest’immagine da opuscolo di agenzia viaggi, è successo quel che è successo. No, non vi riempirò di informazioni su ciò che è accaduto nell’immediato passato, diciamo 30 anni.

Il punto è che, negli ultimi anni, il «Messico» è ormai un riferimento mondiale della corruzione di governo; la crudeltà del traffico di droga; non infiltrazione ma coabitazione tra crimine organizzato e istituzioni; sparizioni forzate; esercito fuori dalle caserme, nelle vie e nelle strade; omicidi e detenzioni degli oppositori, di giornalisti e persone che non contano; il «warning» nei percorsi turistici; il cinismo come idiosincrasia sui media e i social network; la vita, la libertà e i beni personali giocati alla roulette mortale della vita di tutti i giorni («se non ti è toccato oggi, forse domani»). Se sei donna, di qualsiasi età, si moltiplicano i rischi. Il femminile, insieme al diverso, vince solo in questo: è più probabile che subisca violenza, scomparsa, morte.

Ma tutto questo già lo sapete. Basta aver vissuto qui, in queste terre e sotto questi cieli, un po’, non molto, diciamo tra i primi mesi di vita e meno di 5 anni, che è l’età delle bambine e dei bambini uccisi nell’asilo nido ABC di Hermosillo, Sonora, Messico, il 5 giugno 2009, quasi sette anni fa.

Che crimine avevano commesso questi bambini? Sono state vittime della sfortuna, di un oscuro disegno divino, del caso? O sono stati e sono vittime di una classe politica che si permette di tutto (come ad esempio il fatto che una delle persone coinvolte – e non indagate -, sia candidata alla presidenza del Messico per il Partito di Azione Nazionale)?

Così il luogo potrebbe essere Sonora dove, però, la criminalità e la spudoratezza non riescono a sconfiggere le famiglie dei bimbi dell’asilo nido «ABC».

Oppure potrebbe essere lo Stato messicano, dove si vuole distruggere il popolo Ñatho di San Francisco Xochicuautla seppellendolo sotto una delle strade del grande capitale. Il suo crimine? Difendere le foreste. Tuttavia, gli abitanti continuano a resistere sulle macerie delle loro case.

Oppure potrebbe essere Oaxaca, nella comunità Binizza di Álvaro Obregón a Juchitán, dove la popolazione è stata attaccata a colpi di pistola dai paramilitari del Partito di Azione Nazionale e del Partito della Rivoluzione Democratica. Qual è la sua colpa? Opporsi alla privatizzazione del vento che, con i cosiddetti «parchi eolici», il grande capitale impone sull’Istmo.

O potrebbe forse essere Veracruz, che è ormai territorio di caccia contro le donne, i giovani, i giornalisti, che siano o meno avversari. Oppure lo Yucatan, dove contro il popolo di Chablekal viene implementato il cosiddetto «Scudo» con cui i governanti proteggono l’espropriazione. O Guerrero, dove tutto il Messico si è ribattezzato «Ayotzinapa». O Morelos, diventato un gigantesco cimitero clandestino. O Città del Messico, dove le manifestazioni dell’opposizione sono proibite perché lì comanda il traffico degli autoveicoli, persino sulla Costituzione. Oppure Puebla, roccaforte della privatizzazione dell’acqua e delle strade. O Tamaulipas, dove, come in tutto il paese, il PRI è il braccio istituzionale della criminalità organizzata. O in qualsiasi parte della Repubblica chiamata «Stati Uniti Messicani», con le sue ondate di licenziamenti, sfratti, furti, sparizioni, distruzione, morte … guerra.

Ma alla fine è il Chiapas. E dal Chiapas, vediamo…

Tuxtla Gutierrez, capitale. Maggio 2016. Temperatura media: 37 gradi all’ombra. Altitudine: 522 metri sul livello del mare. Data: maggio dei docenti in resistenza e ribellione. Ma in primo luogo, permettetemi alcuni dettagli:

1.- La cosiddetta «riforma dell’istruzione» non riguarda l’istruzione, ma il lavoro. Se riguardasse l’istruzione si sarebbero ascoltati i pareri dei docenti e delle famiglie. Quando il governo rifiuta di discutere la riforma con gli insegnanti e le famiglie, ammette così che non si tratta di migliorare l’istruzione, ma di «sistemare il libro paga» (come il capitale chiama i licenziamenti).

2.- Non si applica la legge, si viola la legge. Dicono di difendere la Costituzione (riforma dell’istruzione), violando la Costituzione (leggi che garantiscono diritti fondamentali come la libertà di riunione, il diritto di petizione e di libera circolazione).

3.- Ciò che fanno i media prezzolati è inutile. Le dichiarazioni vanno e vengono: «tutto normale», «la maggior parte delle scuole sta funzionando». «Oltre il novanta per cento dei docenti sta lavorando». Ma la realtà smentisce queste affermazioni, perché l’insegnamento è per le strade. Nei villaggi le famiglie hanno detto chiaramente che non accettano supplenti, non li stanno facendo entrare o li manderanno via.

4. I/le maestri/e non stanno difendendo dei privilegi, stanno combattendo nell’ultima trincea di ogni essere umano: le condizioni di vita minime loro e delle loro famiglie. Non vi sorprende che qualcuno sia disposto a difendere quel poco che gli resta? Un salario infame, delle aule che sembrano bombardate (e lo sono state, ma con bombe economiche), non uno ma diversi turni di lavoro, gruppi eccessivamente numerosi? In breve: salari bassi, cattive condizioni di lavoro e un sacco di difficoltà. Suona familiare? Eppure, le/gli insegnanti si presentano a scuola e insegnano ai bambini e alle bambine le vie della scienza e delle arti.

5. Lo scopo della presunta riforma scolastica è quello di distruggere questa docente, questo insegnante che è stato preparato per anni e che ha dedicato praticamente tutta la vita a questo mestiere. Certo, con la perseveranza che sui media, pagata in contanti, si è costruita l’immagine di leader corrotti. Ma questa immagine è il verme per l’esca. No, l’obiettivo non sono i capi, ma tutti gli insegnanti, compresi quelli del servile Sindacato Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione. Ora, se si vuole un modello di leader corrotti, basta seguire l’esempio del SNTE.

6. Sì, l’obiettivo della riforma scolastica è di privatizzare l’istruzione. In realtà, questa privatizzazione è già in corso. Lasciare senza cure né risorse le scuole non ha messo fine all’istruzione pubblica in Messico per una ragione umana: l’insegnamento. Così ora bisogna distruggere quelle maestre e quei maestri. Si tratta di provocare una catastrofe nel sistema di istruzione in modo che le famiglie si rivolgano, raddoppiando i turni, a scuole private; oppure che si accontentino che i loro figli si educhino attraverso la televisione, radio e media digitali; o per strada; o neanche questo. La professione del docente non si improvvisa né è una questione di intuizione. Richiede studio e preparazione. Non tutti hanno la capacità e le conoscenze per insegnare. Perché a scuola si educa, non solo si insegna. Non tutti possono affrontare con successo un gruppo di bambini in età scolare o prescolare. Per questo sono necessarie le scuole Normali.

7.- Vi è stato detto che le/i maestre/i sono pigri e non si vogliono preparare? Mentono, ogni insegnante aspira ad essere migliore, ad essere meglio preparato. Fate voi quello che non ha fatto il governo, parlate con un maestro o una maestra. Meglio ancora, ascoltatelo. Vedrete come, quando lui o lei parlano della loro situazione, sembra che descrivano la vostra.

-*-

Noi, zapatisti, cerchiamo di capire. E per capire bisogna ascoltare. Ogni volta che possiamo, usiamo informazioni dirette. In questo caso, abbiamo inviato un gruppo «Los Tercios Compas» (media zapatisti senza scopo di lucro, non indipendenti, non liberi, non alternativi, ma compagni) e ascoltiamo le basi di appoggio zapatiste che fanno parte del gruppo insegnanti. Quanto segue è tratto da uno dei rapporti di questi ascolti:

«Compagno Subcomandante Insurgente Moisés, ti saluto e spero che tu sia in buona salute a lottare.

Dopo il mio breve saluto, passo a segnalare: Beh, abbiamo visto la marcia dei docenti. Ma non solo dei maestri, ci sono anche molte maestre. I maledetti poliziotti li hanno attaccati e hanno attaccato anche le persone che camminavano da quelle parti. Hanno colpito anche i bambini. Poi abbiamo visto una macchia, come un segno dipinto sul muro con la scritta: «Poliziotti: contro il popolo molto fighi, ma contro il narco finocchi». Abbiamo visto durante la marcia quanto fossero felici gli insegnanti. Come se non importasse che li avessero picchiati e che gli avessero gettato addosso quel fumo che non lascia respirare. Ecco i maestri e le maestre, e ci sono anche le mamme e i papà dei bambini che vanno a scuola e le loro famiglie sostengono gli insegnanti. Si vede chiaramente che non li hanno trascinati a forza, ma che sono venuti per scelta. Sono vivi. E la gente nelle case grida il proprio sostegno ai maestri e alle maestre. E per strada gli danno acqua, frutta. Si vede che vogliono bene a quegli insegnanti che lottano. E quindi gli insegnanti gridano lo slogan «questo sostegno si vede» e, beh, ho pensato che c’è anche il sostegno che non si vede, e senza slogan.

Poi siamo andati a vedere i fottuti poliziotti che correvano dietro agli insegnanti. Abbiamo visto i poliziotti molto depressi. Solo un paio di poliziotti erano entusiasti e colpivano i loro scudi di plastica con i manganelli per spaventare, ma non fanno paura. La maggior parte dei poliziotti riesce a malapena a camminare, penso perché fa molto caldo. Un sacco di sole lì a Tuxtla. E si vede che i maestri e le maestre sono molto carichi, perché cantano e gridano i loro slogan. Hanno cantato «Venceremos» e pure io mi sono messo a cantare, poi mi sono ricordato che sono un «Tercio compa» e quindi non era il caso. I poliziotti non appena si fermano cercano subito un posto all’ombra.

Il comando li rimprovera perché non vogliono stare in riga. Sentiamo un poliziotto che racconta ad un altro che ha inseguito una ragazza e un insegnante, e che l’insegnante correva più veloce della ragazza. E il maledetto ride come se inseguire una ragazza fosse un gioco. E quando gli danno l’ordine di avanzare, i poliziotti trascinano i loro scudi. Alcuni hanno dei tubi di metallo. Altri hanno bastoni. Quando passano, la gente per strada grida contro la polizia, che se ne vada gli dicono, che lascino in pace gli insegnanti. Alcuni insultano apertamente la polizia. I poliziotti li guardano con rabbia negli occhi, ma non si fermano. E sono famiglie quelle che gridano. Su qualche casa e palazzo ci sono delle insegne ed anche cartelli scritti a mano in cui si dichiara sostegno agli insegnanti. Nelle stazioni radio sentiamo che la gente chiama per un commento, ma non come altre volte che si lamentano degli insegnanti perché bloccano.

Ora si lamentano dei federali, che sono l’unico fastidio, che sembra di essere in guerra, che neppure con gli zapatisti si vedeva tanta polizia per le strade di Tuxtla. Nessuno ringrazia il governo, lo dicono chiaramente che la colpa è dei cattivi governi. E allora cosa fanno quelli della radio, gli tolgono la parola, perché a loro non piace quello che dice la gente. E poi i giornali sono senza vergogna, parlano di altre cose che non è il caso. I giornalisti sono preoccupati perché a Chenalhó i «partidistas» hanno rapito altri «partidistas». Ma gli insegnanti fanno politica, spiegano la loro lotta e la gente li ascolta e li capisce. Noi sentiamo cosa dice la gente. I governi non li ascoltano e non li capiscono. Velasco lo chiamano «el niño» e si lamentano del «niño» bravo solo a farsi fotografare e sfilare. E poi le voci dicono che non è più così, che già stanno litigando i politici per vedere chi diventa governatore. E dicono «chiunque sarà, è un ladro e un farabutto». Non hanno rispetto per il governo.

Rispettano invece e vogliono bene agli insegnanti, gli danno acqua e frutta, li applaudono. Anche le macchine, quando passano ai lati del corteo, suonano il clacson e mostrano la mano in appoggio. Ai poliziotti solo insulti. Sentiamo un insegnante spiegare la sua lotta: «Ora si tratta del cibo per i nostri figli.» In un posto qui vicino a Tuxtla, che si chiama Chiapa de Corzo, la gente si è organizzata ed ha cacciato i federali da lì. Non erano insegnanti, erano famiglie. Sono stati picchiati e gli hanno gettato addosso i gas, ma non si sono arresi ed hanno cacciato via i federali. Dopo che abbiamo visto tutto quello che abbiamo raccontato, siamo venuti a rapporto.

Da quello che abbiamo visto, chissà cosa accadrà, ma i malgoverni hanno già perso.

Questo è tutto ciò che ho da dire» Questo è tutto».

-*-

Ora, le domande per l’esame della valutazione del governo federale:

Se un governo non è disposto a dialogare e negoziare con i suoi avversari, che strada gli lascia? Se viene utilizzato solo l’argomento della forza, cosa vi aspettate come contro argomento?

Dalle montagne del Sud-est Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.                Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico, maggio 2016.

Dal quaderno di appunti del gatto-cane:

L’ora del Poliziotto 2. Il venditore di deodoranti metrosexual, la versione postmoderna di Gordolfo Gelatino, Aurelio Nuño Mayer, deve smetterla di fare campagna per la presidenza ed ammettere che la riforma che sostiene non è né una riforma né scolastica. É solo una palese riduzione di personale. Un padrone mal vestito in abiti istituzionali che utilizza un capoccia profumato per eliminare posti di lavoro.

E per diventare un capoccia idiota che aspira ad essere un buon poliziotto, per favore segua le seguenti istruzioni: Scrivere 100 volte: «l’istruzione pubblica in Messico è un business e come tale deve essere gestito». Oh, e non studi storia. Dimentichi che il Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione è nato nel 1979, in Chiapas, Messico. E che è nato in risposta alla brutalità del governo.

-*-

Le battaglie portate avanti dalle maestre, dai maestri e dalle famiglie non sono la fine di maggio. Sono solo l’inizio di molti mesi e lotte che verranno, e non solo dei docenti. Nelle geografie e i calendari del basso la storia non accade, si fa.

In fede.

Guau-Miau.

traduzione a cura di 20zln

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