Parole del Subcomandante Insurgente Moisés
8 maggio 2015
Buonasera, compagni, compagne, fratelli e sorelle.
Chissà che con questa continuazione della nostra spiegazione sull’arma che abbiamo scelto, cioè la resistenza e la ribellione, chissà che non vi riesca di capire alcune delle cose di cui hanno parlato i nostri compagni che sono qui al tavolo.
Il fatto è che nella nostra resistenza e ribellione siamo giunti a capire che tali resistenza e ribellione che mettiamo in pratica fanno sì che non permetteremo, e ci sforzeremo di lottare perché non torni, che succeda quel che accadde nel 1910, perché chi ha approfittato della morte di molti dei nostri compatrioti messicani e messicane?
E la nostra resistenza, la nostra ribellione, ci dice che sono i carranzisti, gli obregonisti e i maderisti, i possidenti che ne hanno approfittato per governare, per stare al potere. E tutti questi bastardi che sono su adesso sono i loro bisnipoti, perciò la nostra resistenza, la nostra ribellione ci dice che dobbiamo governare noi.
Ma la nostra resistenza e ribellione ci dice pure che il problema non è essere noi a governare come fossimo della stessa razza: come abbiamo detto dal principio, noi diciamo Giunta di Buon Governo, ma non stiamo dicendo che i suoi membri siano buoni a prescindere: bisogna prestare attenzione, vigilare su di essa.
Per questo sto parlando di ciò che hanno esposto i compagni prima: anche se siamo indigeni che arrivano al potere, se il popolo non è organizzato per vigilare sul suo governo, finirà che saremo ancora peggio, perché l’indigeno povero non ha mai visto le tante cose che ci sono da fare in ufficio: ecco come ci vanno le cose. Quindi non bisogna fidarsi, bisogna organizzarsi per vigilarli, perciò diciamo che il popolo è chi comanda su tutto.
Quando dico che dobbiamo vigliare e che dobbiamo stare attenti e tutto il resto, è in base alla nostra pratica di lotta, di resistenza e ribellione: i nostri governi autonomi non li lasciamo soli, siamo molto altri. Ovviamente ciascuno di noi ha responsabilità perché come compagni abbiamo le aree di lavoro, al fine di imparare, perché diciamo che non si può esser buoni soltanto a pensare ciò che propongono i compagni autorità, bensì tutti e tutte dobbiamo essere capaci di pensare.
Ciò che fanno le nostre autorità è riunirsi, ad esempio un Municipio Autonomo Ribelle: ci possono essere 15 o 20 compagni e compagne, divisi per aree di lavoro: salute, educazione, agroecologia, commercio eccetera. Il compagno o la compagna incaricato di una qualche area dice agli altri: ‘ho questo problema’, dice al collettivo di autorità, cioè agli altri incaricati delle altre aree: ‘ho questo problema’. Allora iniziano a discutere tra autorità, e perciò lo chiamiamo governo collettivo, e da lì iniziano a venir fuori idee, proposte, ma non è che si applichi subito ciò a cui sono riusciti ad arrivare i compagni.
Non possono: devono andare all’assemblea municipale delle autorità, ovvero dove ci sono anche le commissarie e le agenti, i commissari e gli agenti, ed è lì che lanciano la proposta di discussione di un problema. Allora i compagni autorità, i membri dell’assemblea, le autorità dei villaggi, tutti loro, secondo la nostra legge zapatista, si danno una linea, come abbiamo detto ieri, perché lì possono verificare che ‘questo è già stato discusso, sappiamo già che è permesso, i nostri villaggi lo hanno permesso e pertanto possiamo affermare che la proposta verrà portata avanti’, con l’approvazione dei compagni commissari. I compagni e le compagne autorità sanno che ‘questo non possiamo deciderlo qua dove siamo già d’accordo, dobbiamo consultare i nostri compagni e compagne dei villaggi’.
Quindi le autorità municipali o le giunte di buon governo, quando lanciano la loro proposta in assemblea, hanno il metodo di fare assemblea convocando un’assemblea massima tipo come siamo noi qui ora, e discutere al suo interno, come primo giro di discussione; quando ci si rende conto che non porta a un risultato, che non si trova l’idea, allora si dividono per regioni, tipo in 10, 15, 20 regioni per andare a discutere e poi tornare nuovamente in assemblea finché non se ne venga a capo.
Se non se ne viene a capo, portano tutto ciò che si è discusso, cioè percorso e cercato già, alle comunità, e si estende la discussione a tutte le comunità. Bisogna trovare una soluzione, e può essere che venga da un villaggio, un gruppo o un individuo, una proposta di un compagno o compagna in un villaggio, e questa sua parola, opinione o pensiero arriva all’assemblea massima e lì si sente qual è l’idea migliore tra tutte.
E’ così che le autorità autonome non sono sole in ciò che fanno: il loro lavoro è discusso, stabilito dai compagni base dei villaggi. Non fanno politica per conto loro, per quanto siano buon governo o Giunta di Buon Governo: tutto dev’essere approvato dal popolo. I villaggi sanno fin dal principio cosa si vuole fare e come si pensa di farlo.
Questo ha permesso che le nostre autorità non possano fare ciò che gli pare, che siano nella zona, nella Giunta di Buon Governo o nei MAREZ, nei municipi autonomi ribelli zapatisti, e giù fino alle autorità locali: ci sono sempre assemblee a livello locale nel villaggio. Un’autorità locale non potrà mai fare una cosa fintanto che non ne siano al corrente i villaggi, e lo stesso accade nella Giunta di Buon Governo: non possono far partire un lavoro se non ne sono al corrente le migliaia di uomini e donne.
Ve lo dico, compagni, compagne, fratelli e sorelle, non perché vada male ma perché si usano altre forme; mettiamo il caso di una relazione di lavoro con una delle poche Ong rimaste: questi pensano che se chiedono a me dico di no perché sono io, e se invece chiedono a te dici sì, eccetera. Quel che succede è che noi siamo migliaia, e quindi discutere ogni progetto ci porta via tempo, sia che lo accettiamo o no o dobbiamo dire cosa vogliamo fare in cambio: ci porta via tempo, e quando arriva la risposta ci dicono: ‘no, ormai è trascorso il tempo, non ce n’è più, finito’. Non importa, è per questo che c’è la nostra resistenza e ribellione: se non ce n’è, continueremo a lavorare e andremo avanti.
Con la nostra reistenza e ribellione, i compagni dei villaggi e le loro tre istanze di governo non prescindono da due cose. Una è che tutto ciò su cui si è già accordato il villaggio bisogna rendere conto su come va, su qualsiasi cosa si faccia: salute, educazione, agroecologia e tutti gli altri lavori. Ovvero devono rendicontare: cosa accade? come accade? perché accade? come avete fatto a risolverlo? cosa state facendo? Allo stesso tempo, devono rendicontare su tutte le entrate e sulle spese effettuate.
Con la resistenza e ribellione i compagni e le compagne hanno fatto pratica a partire da come si fanno i rendiconti nelle Giunte di Buon Governo e nei MAREZ, allorché i compagni e le compagne si chiesero: come possiamo credere alla giustezza del rendiconto? Se anche li chiamiamo compagni e compagne, e per di più portano il nome di Giunta di Buon Governo, sarà così?
Perciò i compagni inventano, creano – perché è la mancanza di fiducia – il da farsi perché ci sia fiducia. Ad esempio si inventano il sistema per cui la Giunta di Buon Governo tiene la cassa o come si chiama dove si tengono i soldi, ma la Giunta stessa non può toccarla senza la presenza della Commissione di Vigilanza. La Commissione di Vigilanza sono i turni fatti dalle basi d’appoggio tutti i giorni, mesi, anni, e stanno nel caracol, nella Giunta di Buon Governo, e la Commissione d’Informazione, ovvero sono i compagni e compagne che fanno parte del comitato, o alcuni sono candidati a farne parte, o sono supplenti.
Quindi quei due vanno al luogo della cassa, non da morto ma del denaro, e allora tirano fuori i soldi, qualsiasi delle due commissioni, chiedendo:
– Vediamo, compagno della giunta di buon governo, di quanto hai bisogno?
– Ecco, 15mila pesos.
– Vediamo – tirano fuori i 15mila pesos e glieli consegnano -, contali, così dopo non ci verrai a dire che non erano tutti.
Quindi li contano, e si va a comprare quel che serve. Tornando alla sera si tornano a incontrare le due commissioni, e dinanzi alle due commissioni si vede cos’è successo, perché ti manca questo.
Ecco come si dà fiducia al momento in cui la Giunta di Buon Governo fa il rendiconto, perché si rendono i conti, le informazioni, che sia ogni sei mesi, ogni tre mesi oppure ogni anno. In ogni caso ecco come si controlla, non è che abbiano mano libera: c’è chi può certificare che le cose sono a posto.
Nella nostra resistenza e ribellione abbiamo visto che ciò ha aiutato molto in fatto di giustizia, è come una parte… come vi posso dire… cioè, è senza fare politica, senza fare discussione politica con gli aderenti ai partiti, ma risolvendo i loro problemi perché la giustizia non si vende, non si compra e nel fare giustizia non si multa, non c’è multa. Ecco dove gli aderenti ai partiti possono rendersi conto e dire ‘andiamo con gli zapatisti, perché se proviamo con il governo ufficiale abbiamo bisogno di soldi’.
Perciò con la nostra resistenza e ribellione andiamo facendo giustizia, noi diciamo neutralizzando, perché non si mettano contro di noi, ma non perché facciamo politica ma perché agiamo: è da lì che possono vederlo.
Un altro nostro modo d’agire che ci ha dato risultati e ci ha fatto costruire la nostra resistenza e ribellione è non forzarli a essere zapatisti o basi d’appoggio. Nelle nostre pratiche comunitarie, ossia in ogni comunità, si parla con loro, con quelli che non sono dei partiti, perché nelle comunità ci sono affiliati ai partiti e no: si parla con loro e se vogliono stare nella scuola, ossia nell’educazione zapatista, ci possono stare senza soldi.
Si richiede solo che mantengano l’accordo della comunità su quando è tempo di lavorare gli orti, cioè che il tale fratello vada a lavorare anche il campo del promotore o della promotrice di educazione, e che vada quando c’è da lavorare la milpa. Diversamente, ci sono comunità zapatiste che raccolgono pannocchie di mais, pugni di fagioli e li danno ai loro promotori di salute, di educazione, e basta così. Pertanto i fratelli che vogliono mandare a scuola i loro figli, anche se non sono zapatisti, devono solo assolvere a questo e possono mandarli alla scuola autonoma zapatista, le figlie e i figli dei fratelli che non sono aderenti ai partiti.
Il risultato di questo lavoro, è che nel momento in cui i compagni celebrano qualcosa nei villaggi, ad esempio il 17 novembre, che è l’arrivo dell’Esercito Zapatista nel 1983, i bambini zapatisti e i bambini e bambine figli dei non affiliati ai partiti, partecipano insieme, recitano le loro poesie, le loro piccole orazioni e fanno pratica secondo quel che vedono fare ai loro genitori.
E quando fanno festa gli officialisti sono a zero, non c’è partecipazione di bambini e bambine, e allora quelli che hanno i figli nella scuola autonoma zapatista si incaricano di dire agli affiliati ai partiti: prendiamo maestri migliori, perché guarda mio figlio, mia figlia, lei sì che sa leggere e scrivere, lei sì che può già fare un piccolo discorso, e guarda invece il tuo o la tua: no, e allora che facciamo, perché siamo contro gli zapatisti? Così partono le discussioni e c’è la dimostrazione di quel che stanno dicendo.
Questo è ciò che ci ha dato la nostra ribellione e resistenza, continuo a dirvelo perché grazie a questo stiamo combattendo, stiamo mostrando che si può fare senza azionare le armi, ecco la sua importanza. Ma non vuol dire che stiamo dicendo che ormai non servono più, un giorno serviranno.
Torno a dire, compagni, compagne, fratelli e sorelle, che non ci può essere resistenza, ribellione, se non si organizza. Perché organizzazione è gente, è donna, è uomo, sono popoli, e se non c’è il popolo, cioè se non c’è donna, uomo, ebbene? Anche se hai maestria nel dire, nel parlare, nel tuo rollar diciamo noi, semplicemente sono parole al vento.
E allora come facciamo in organizzazione e pratica quel che dice un poeta, ad esempio? Come facciamo in organizzazione e pratica quel che dice un cantante? Come facciamo in pratica e in organizzazione quel che illustra un artista?, ecco, aiutatemi a fare una lista di cose simili. La questione è questa, perché allora ci organizziamo.
Mi ricordo che mi invitarono a una delle discussioni su quali materie avrebbero studiato i giovincelli. Dicevano: in scienze sociali, dice il sistema, il treno ad alta velocità, ma quale treno ad alta velocità passerà mai da qui. No, noi dobbiamo pensare a ciò che serve di scienze sociali qui nel nostro municipio autonomo, nelle nostre zone ribelli. Io gli dico, va bene, è così, e loro dicono:
– Vogliamo che si studi la storia perché nella SEP* (*Segreteria di Educazione Pubblica, ovvero l’autorità governativa che presiede all’istruzione in Messico, N.d.T.), nell’educazione del governo, ci dicono che il Messico ormai ha fatto la rivoluzione, ed è per questo che è morto Zapata, e allora noi vogliamo che si studi bene la storia.
Io chiedo ai compagni, com’è questa storia, e loro mi dicono:
– Sì, perché vogliamo che i giovincelli si sveglino.
– Ma come? – gli chiedo ancora.
– Guarda, come sono le tappe dei modi di produzione o società? Come si dice, quella storia del feudalesimo, schiavismo, capitalismo, imperialismo, e non so quanti altri.
I compagni dicono:
-Nel tempo, all’epoca dello schiavismo, come funzionava la politica, l’ideologia, l’economia, la società, la cultura. Com’era a quel tempo? Abbiamo bisogno di saperlo perché serve a risvegliare i nostri figli, perché sappiano.
Allora rispondo ai compagni: non so, io non ho studiato questo. Non ho studiato del tutto, compagni.
– E allora come facciamo?
– Vediamo chi lo ha studiato.
Perché qui in Messico ci sono molti studenti, e quindi vennero, e glielo chiedemmo, sul fatto delle varie tappe della società e dei modi di produzione.
– Non esiste un libro per questo. Non lo sappiamo neanche noi -, ci dissero.
Qui c’è qualcuno che lo sa? Quel che vogliamo sapere è questo, com’era nell’epoca feudale, com’era la politica a quel tempo, com’era l’ideologia a quel tempo, com’era l’economia a quel tempo, perché ora noi compagni sappiamo com’è per il capitalismo, ora neoliberista, possiamo ormai dire com’è sul piano politico, ideologico, economico e sociale.
Perciò vi dico che con la nostra resistenza e ribellione abbiamo una nuova educazione, una nuova salute. Con la nostra resistenza e ribellione lo abbiamo anche imparato, anche avendo delle lacune.
Guardate, ai tempi in cui non avevamo ancora stabilito per le Ong quanto vi ho già detto l’altroieri, si costruirono ad esempio cliniche o microcliniche secondo dei progetti, e allora noi:
– Clinica, ah, bene, ora sì che ci sarà la salute – così la si comprese.
Ma dopo quattro o cinque anni ci siamo resi conto di no, perché implica, implicò organizzazione, e quando i compagni vollero organizzarsi… Perché ve lo dico? Perché la microclinica o la clinica, fatevi il conto che sia dove siamo ora e che i villaggi siano a cinque o sei ore, e allora perché funzioni questa clinica il promotore o la promotrice di salute deve venire a fare i turni per portare avanti qua. E poi, poiché allo stesso tempo si fecero partire le tre aree, ossia le piante medicinali, allora i compagni e le compagne appresero quale pianta serve per la tosse, l’influenza, i parassiti, i dolori, eccetera, per la diarrea, il vomito, e allora semplicemente non andavano alla clinica, e allora i compagni iniziarono a dire:
– A cosa serve? – è che bisogna dargli da mangiare, al promotore di salute, – A cosa serve se non ci sta assistendo? Chi ci sta assistendo qua è la promotrice di erboristeria.
Queste cose ci cambiarono, ecco cosa c’entra quel che stavamo dicendo ieri, che iniziammo a riorganizzarci e allo stesso tempo a rieducarci. Quel che si è fatto è che i promotori di salute sono partiti con le campagne, portandosi dietro l’apparato per gli ultrasuoni, gli strumenti per il Pap Test, di laboratorio, da dentista. Si sono organizzati e danno servizi per municipi o per regioni, e diagnosticano chi ha problemi di ernie, tumori, appendiciti e cose del genere, e poi avvisano i dottori che ci aiutano, ed è così che noi aiutiamo i dottori, i medici, perché sanno già cos’hanno i pazienti, perché sono già fatte le lastre o gli ultrasuoni.
Allora sì davvero, allora sì c’è una nuova salute perché fin da prima si diagnosticano i problemi che hanno le nostre compagne, compagni, e ovviamente anche gli aderenti ai partiti.
Con la nostra resistenza e ribellione i compagni hanno la libertà di sperimentare quel che pensano a livello locale, per esempio ci sono villaggi che iniziano a creare ciò che chiamano BAC, e se gli chiediamo cosa sia, dicono la Banca Autonoma Comunitaria, ossia dei villaggi: loro stessi le creano.
E con la nostra resistenza e ribellione si stanno migliorando i mezzi di comunicazione, così li chiamiamo, che sono le emittenti comunitarie zapatiste autonome: loro le utilizzano, i compagni delle Giunte di Buon Governo, e da lì trasmettono quel che vogliono far sapere ai villaggi zapatisti e non zapatisti.
Con la nostra resistenza e ribellione si pratica insomma la nuova democrazia. Qui i compagni insieme ai villaggi, con le autorità, sperimentano nuove cose. A volte si sbaglia ma si rendono conto di questo e vedono come migliorare.
Per esempio, è molto importante, ed è una delle cose che ci ha portato a cambiare in meglio, come ho già detto, è la nuova educazione, ossia il fatto che i giovani abbiano appreso a leggere, a scrivere e far di conto. Giovani di 18 o 19 anni vengono nominati a essere autorità e magari quando sono in assemblea sono solamente giovani, sia nel Consiglio o nei MAREZ, sono solamente giovani. Questo è un errore, perché come giovani non hanno avuto esperienza, l’esperienza di essere stato un vecchio zapatista che è stato in clandestinità, con gli sforzi, i sacrifici e tutto il resto, e il grande valore di venire fuori nel ’94… i giovani no, sembra tutto molto facile per loro.
Allora i compagni si rendono conto che si inizia a sbagliare, e allora si inizia a organizzare i giovani, facendo scuola su quale siano i loro compiti, doveri, obblighi, funzioni, e cosa significhi essere autorità zapatista, perciò al momento di essere eletti, in tutti villaggi gli uomini, le donne, i giovani e le giovani ora sanno già quali sono i loro compiti e doveri.
Qui c’è una democrazia che si basa sulla sperimentazione e l’aiuto tra compagni, per esempio non so come si chiami, se è diretta o indiretta o mezzo diretta, non so, sarà compito vostro di verificarlo; per esempio qui siamo autorità, e quindi ci conosciamo già tra tutti noi, ci conosciamo su chi è compagno e compagna, su chi si preoccupa, su chi ha interesse reale, e appoggia, orienta, e che abbiamo visto non solo dire ma anche mettere in pratica.
Allora quel che facciamo noi è proporre come membro quel compagno o quella compagna, ad esempio della Giunta di Buon Governo, che siamo noi come autorità a scegliere. Ma il fatto è che noi ci conosciamo, e quindi proponiamo che sia quella compagna o quel compagno che non decidiamo noi, ma lo sottoponiamo ai villaggi, dove spieghiamo che noi come assembleisti pensiamo che sia la persona adatta a fare un determinato lavoro.
E i villaggi diranno, perché i nostri villaggi fanno domande: è veramente certo quel che ci dite, vi risulta? E noi come autorità dobbiamo dimostrare certe le cose, cioè che abbiamo visto che la compagna è davvero interessata, ha cura, orienta, supporta e ce lo dimostra nel suo modo di fare. Così le autorità aiutano i villaggi, e non perche si sceglie la compagna di qualche altro compagno o compagna.
Per esempio, come fanno i villaggi a vigilare sulle proprie autorità? Abbiamo detto che la Comissione di Vigilanza è presente in ogni momento nei Caracoles (inascoltabile)… è vigilare le proprie autorità, ma tanto i compagni e le compagne hanno bene in testa e nel cuore il vigilare le proprie autorità. Molto recentemente un membro della Giunta di Buon Governo è stato a Tecate, e i nostri compagni hanno verificato dov’era andato il tizio. Ovvero, i nostri compagni seguono le proprie autorità dovunque vadano, le tengono d’occhio.
La democrazia viene insegnata fin nelle classi di bambini e bambine, perché già da bambini e bambine capiscano il perché i loro genitori si riuniscono. E allora i maestri e le maestre dicono:
– Sapete, bambini e bambine, si avvicina la festa – gli spiegano, ad esempio il tre di maggio, e allora organizzano i bambini. Il villaggio farà la celebrazione del tre di maggio, voi bambini e bambine cosa pensate di fare?
– La pignatta, l’opera teatrale – iniziano a dire i bambini, ovvero li si consulta su cosa vogliano presentare.
– Ballate, opere di teatro, o le pignatte, o che altro.
Quindi i bambini imparano così, oltre al fatto che la loro mamma o il loro papà li accompagna in assemblea.
Una cosa che si è vista a partire dalla nostra resistenza e ribellione, è che non avremo paura di proporre ai villaggi le nostre proposte, per difficile che sia. I compagni delle Giunte di Buon Governo stanno appurando che, per quanto difficile sia il da farsi, bisogna proporlo ai villaggi perché loro lo discutano, ci pensino su, e vogliamo che così sia, perché pensiamo che il solo spiegare e parlare bene, cioè il riuscire a far fare al popolo quel che si vuole, non basti a permettere di fare le cose senza consultare il popolo, non so se mi capite su questo punto.
Ad esempio è come se io, poiché i compagni e le compagne mi hanno visto che ci azzecco su quel che vuole il popolo, mi inizi a credere chissà chi e inizi a far andare le cose secondo i miei pensieri, senza consultare voi come villaggi. E allora i compagni dicono ‘non lo permetteremo’. Per quanto ci azzecchiamo, dobbiamo dire le cose ai nostri villaggi, se no iniziamo a creare una cattiva cultura, torniamo a farci una cattiva cultura, mi è venuto in mente quando ha parlato il compagno Zibechi, perché è vero quel che ha detto, l’ex presidente del suo paese mostrava di fuori una bella facciata ma dentro chissà: come diciamo noi messicani, vediamo la faccia ma sul cuore non sappiamo, e ce lo hanno spiegato com’è andata.
Si tratta di una delle cose che abbiamo evinto dalla nostra resistenza e ribellione, perciò diciamo che non lo permetteremo, che il popolo deve sapere, dev’essere consultato. La nostra resistenza e ribellione ci ha aiutato, ci ha dato il tempo di inventare, creare, immaginare, perché non abbiamo un manuale, ecco la verità, non abbiamo un libro. Il nostro libro è valutare il lavoro per migliorarlo, il nostro manuale è il problema che sorge e come va risolto. Ecco come andiamo avanti: affrontando, risolvendo attraverso l’immaginazione e la nostra pratica.
Vale a dire che la nostra resistenza e ribellione implica di non lasciarci andare, di essere testardi e testarde, inamovibili, sul non lasciarci andare: la soluzione va trovata. Ossia prendiamo la nostra resistenza e ribellione come fossimo tra i proiettili e le bombe, ovvero la consideriamo come una guerra in cui abbiamo di fronte il nemico, bisogna cioè prenderla sul serio, perché trovare il modo migliore di governarci è uno dei modi per sconfiggere il nemico. Ci diciamo cioè che la lotta, lo scontro, non si fa solo con le armi e le bombe, ma anche sul piano politico, ideologico, economico, eccetera.
La nostra resistenza e ribellione esiste perché ci stiamo lavorando, la stiamo organizzando, perché siamo lì con i nostri popoli in lotta, dando aiuto, orientando, migliorando. E allo stesso tempo la nostra resistenza ci dà la sicurezza, e insieme ci aiuta a vigilare, cioè ad avere cura di noi. Perché la resistenza sia viva bisogna, come vi ho detto, lavorarci, e noi la consideriamo davvero un’arma di lotta, perché le nostre armi riposano da 20 anni, ma se non facciamo attenzione queste armi reali diventano inservibili… ma siccome abbiamo cura di noi sono uguali al 1994, ovvero sono utili perché ne stiamo avendo cura.
Allora la nostra organizzazione, la nostra ribellione e resistenza ci fanno avere cura di noi, ci danno sicurezza e dobbiamo migliorarle man mano, lavorando.
Con la nostra resistenza e ribellione abbiamo visto che i partiti politici non ci hanno diviso in tante parti, cosa che sarebbe stata un po’ diversa. Perché i partiti politici, e con loro anche le organizzazioni sociali cooptate dai partiti politici e fatte da scagnozzi dei partiti politici, sono chi ci divide, provoca, e questo continuerà. Qui vi darò un esempio effettivo di come affrontiamo questa cosa.
Per esempio, voi ricorderete, o se no ve lo ricordo io, che a Zinacantán il PRD, i perredisti, hanno sottratto l’acqua ai nostri compagni basi d’appoggio e al momento in cui andammo a rimettergli l’acqua ci attaccarono a pietrate, bastonate, spari. E allora accadde quel che accadde, la Giunta di Buon Governo compra un pezzo di terra con una fonte d’acqua, consegnandola ai compagni basi d’appoggio. Ma resta il fatto che i partiti politici ci dividono come popoli, e allora quando un gruppo che era di compagni esce, i compagni rimasti dicono ‘non gli daremo più l’acqua, perché è per chi è nell’organizzazione’, e lo vanno a proporre alla Giunta di Buon Governo, ma la giunta gli dice:
– No, compagni. L’acqua è la vita, non possiamo dire che non gli daremo acqua, anche se sappiamo bene che quando siamo venuti a ridarvi l’acqua ci hanno sparato, quei perredisti. Ma noi non faremo così, semplicemente li inviteremo ad aver cura dell’acqua e a rispettare gli alberi che abbiamo seminato, perché l’acqua serve perché crescano.
Vi potrei dire un mucchio di altre cose su questo punto, su come si fregano i popoli, su come ci dividono i partiti, ma è così che combattiamo questo; essere umili a volte funziona a volte no, ma i compagni su questo hanno ragionato con umiltà, e anche i perredisti possono usare l’acqua.
Con la nostra resistenza e ribellione, i compagni delle Giunte di Buon Governo e dei MAREZ si sono messi d’accordo a tutti i livelli di autorità su cosa portare alla discussione, perché c’è discussione interna, e ciò ci ha aiutato a creare, a inventare con loro l’escuelita.
Ci ha dato molta forza perché dalla discussione che hanno fatto i compagni dei MAREZ e delle Giunte di Buon Governo, ci hanno dimostrato che sono i veri maestri e maestre.
Da ciò si vede che è reale quel che è accaduto al tempo del nostro arrivo come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, nell’anno 1983. A quel tempo i primi compagni insorti giunsero molto quadrati, ma a contatto con i nostri compagni e compagne dei villaggi, come si dice, si sono riconfigurati dall’essere quadrati.
Perché loro erano già giunti di per sé portati dalla resistenza, di per sé vivevano ormai in comunità, e nel frattempo si vide che i compagni e le compagne dei villaggi erano già in resistenza, perché ci sono villaggi che nominavano un commissariato e il presidente municipale li forzava ad accettare che sia lui a nominare, stiamo parlando di prima dell’83, non c’erano basi d’appoggio, ma alcuni villaggi dissero: ‘non vale ciò che dice il presidente municipale, vale quel che diciamo noi’. E ci sono villaggi che invece lasciano che sia il presidente municipale a nominare.
Quindi c’erano già questi due tipi di villaggio, c’erano già villaggi in resistenza in questo caso, e allora non resta che reinventare ulteriori modi su come fare.
Perciò, compagni, compagne, fratelli e sorelle, questa è la nostra esperienza, come vi abbiamo detto abbiamo iniziato da una base piccola piccola come questo mais che ci hanno portato i compagni del nord.
E allora vedete voi quale semenza pensiate sia buona e quale semenza non è buona o non si può mettere in pratica, vedete cosa bisogna fare per prima cosa, e poi la seconda e la terza, e così via.
L’unica cosa che vorrei dire a conferma, è che ricordo che nell’anno ’85 mi toccò stare con un comando, una sezione, e un giorno, riunendo il comando, ci disse e spiegò: siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Ed era una sezione di quattro persone, e allora noi ci guardavamo l’un l’altro, ‘siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, quattro’.
E ci dice: qui ne abbiamo altri due. Lavoreremo e se lavoreremo ci saranno risultati, perché cresceremo, convinceremo il popolo, ci saranno molte compagne e compagni, ma c’è bisogno di molta sicurezza. Se non lavoreremo, ossia non faremo lavoro politico, ci annoieremo a guardarci in faccia tutti i mesi e tutti gli anni perché non vogliamo lavorare.
Bisogna quindi pensare come, e fu così, iniziammo a lavorare, e già nell’anno ’86 c’erano battaglioni di insorti e insorte, c’erano già battaglioni di miliziani e miliziane.
Non dimenticate, compagni, compagne, fratelli e sorelle, se così decidete: abbiamo iniziato come questo qui, piccolo, ma se lavoriamo cresciamo, altrimenti saremo pian piano più piccoli, ovvero moriremo senza aver fatto nulla.
Quindi, compagni, compagne, fratelli e sorelle, questa è stata la nostra partecipazione su cosa è la nostra resistenza e ribellione. Vi lasciamo l’onere di pensare a cosa vi serve e cosa no, e anzitutto il da farsi per ottenere ciò che si vuole fare, ma vi raccomandiamo: la prima cosa da fare è organizzarsi, se non c’è organizzazione non c’è nulla.
Molte grazie, compagni, compagne.
Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano
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