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Palabra del Ejército Zapatista de Liberación Nacional

Ago202005

3a. Reunión preparatoria / Palabras de inicio (Traduzione italiano)

Parole dell’EZLN all’inizio della riunione con Organizzazioni e Movimenti Sociali

RIUNIONE PREPARATORIA DELLA SESTA – 20 agosto 2005

Benvenuti compagni e compagne delle Organizzazioni Sociali e dei Movimenti che sottoscrivono la Sesta Dichiarazione

Benvenuti quelli che sono arrivati
Benvenuti quelli che non hanno potuto venire

Compagni e compagne:
all’inizio di ognuna di queste riunioni preparatorie, è la nostra abitudine informare sulle adesioni alla Sesta ed all’Altra Campagna. Fino al 17 agosto, secondo il rapporto dei compagni e delle compagne della Rivista Rebeldia, la situazione era la seguente:
– Organizzazioni Politiche: 47
– Organizzazioni Indigene: 92
– Organizzazioni Sociali: 67
– Ong, collettivi, gruppi: 275
– Individuali: 1.010 persone

Questo è solo per quanto riguarda la pagina web.
Pensiamo, forse con ingenuità, che saranno di più quando, col loro appoggio, incominceremo il percorso per la Repubblica Messicana.

Oggi, sono qui riunite organizzazioni e movimenti sociali di sinistra. L’immensa maggioranza ha sottoscritto la Sesta ed ha manifestato la sua volontà di partecipare prima alla preparazione dell’Altra Campagna e quindi alla sua realizzazione. Ci sono alcune organizzazioni che sono qui e che non hanno sottoscritto la Sesta, o che sono d’accordo solo con alcune parti. Ci sono anche osservatori nazionali ed internazionali. Anche se questa non è una riunione che compete loro, sono qui per conoscere la parola e le posizioni di tutti quelli che vogliono renderle pubbliche. A tutti e a tutte diamo il benvenuto.

Nella riunione preparatoria con le organizzazioni politiche di sinistra che sottoscrivono la Sesta Dichiarazione, noi dell’EZLN abbiamo reso loro, un doppio riconoscimento: uno perché si mantengono nel pensiero di sinistra quando la moda è il centro, la moderazione e la claudicazione mascherate da «maturità», e poi per aver ascoltato il nostro invito nonostante la disattenzione e la sottovalutazione che avevamo dimostrato per alcune di loro in precedenti occasioni. Mi sono assunto la responsabilità del mio errore ed ho chiesto loro scusa. Oggi ripeto a uno ed all’altro la stessa cosa, riferito alle vostre organizzazioni ed ai vostri movimenti sociali.

Dopo ciò che è successo nelle ultime settimane, vorremmo aggiungere, da parte nostra verso di voi, un riconoscimento in più alle organizzazioni ed ai movimenti sociali che mantengono la loro adesione alla Sesta ed a tutti e tutte quelli che si sono aggiunti all’ultimo momento.

Come è noto, la posizione dell’EZLN rispetto al processo elettorale, ed in particolare verso il PRD ed il signor López Obrador, ha ricevuto attacchi, critiche, segnalazioni ed accuse provenienti da quasi tutto lo spettro di quello che si definisce come «opinione pubblica». Il minimo che si è detto è che si tratta di una stizza di un «Marcos» panciuto e consunto. Alcune segnalazioni sono andate più in là e decretano che stiamo facendo il gioco della destra perché, criticando il PRD e López Obrador, stiamo, implicitamente, invitando a votare per il PRI o per il PAN. Non solo questo, con insinuazioni o accuse dirette, si dice che c’è stato un «accomodamento» (o un «patto», per parlare come loro) tra l’EZLN e la destra, in particolare tra Marcos ed il Salinismo, per impedire a Andrés Manuel López Obrador d’arrivare alla presidenza. Ci sono quelli che ci accusano di rovinare tutto e che fanno notare la coincidenza tra le nostre parole e l’ennesima riapparizione del primo «innominabile». Non c’è stata paradossalmente però nessuna contrapposizione razionale a ciò che abbiamo detto, e continueremo a dire. Semmai, dicono che stiamo esagerando nella denuncia delle aggressioni perrediste, del tradimento degli Accordi di San Andrés oppure quando segnaliamo che il progetto di López Obrador non è di sinistra, neanche di sinistra riformista, ma invece francamente neoliberale.

Se voi, aderendo alla Sesta, siete pure sospetti, tutti, di fare il gioco della destra, di essere scesi a patti col Salinismo o col Foxismo (se c’è poi qualche differenza) e di rendere possibile il fallimento dell’arrivo di un governo di sinistra (che è per ora solo una possibilità, non pensiate che ci diano molte possibilità nei sondaggi e nelle urne), se nonostante tutto questo voi sono venuti fin qua, con le scomodità e la stanchezza che implica, noi vi diciamo che vi ammiriamo, ve lo riconosciamo e vi ringraziamo.

Noi stiamo dicendo tutto questo a voi, a voi ed a tutti quelli che hanno deciso di camminare con noi nella Sesta. Sappiamo che solo una parte di quello che diciamo apparirà nei grandi mezzi di comunicazione, sappiamo che i critichi che proliferano ora considereranno solo delle parti dei nostri discorsi, sappiamo che considereranno solo le parti che serviranno a rafforzare le loro sentenze e la loro complicità. La nostra posizione completa, quella che abbiamo continuato a presentare nelle riunioni che abbiamo fatto, e che continueremo a completare in questa riunione ed in quelle che seguono, forse sarà solo nota a voi ed a quelli che s’interessano di sapere tutto quello che diciamo ed a quelli che accedono ai mezzi alternativi di comunicazione. Forse quelli che ci definiscono scortesi e maleducati, dovrebbero cercare di non fermarsi alle dichiarazioni che sono sottolineate dai media e cercare di informarsi su tutto quello che abbiamo detto, diciamo e diremo, sulla Sesta, sull’Altra Campagna, sul mondo e sul Messico. Forse allora si renderebbero conto che, insieme al nostro «modo» di reclamare, c’è anche il nostro «modo» di spiegare… di spiegarci. Non stiamo nascondendo niente, tutto è chiaro ed è a disposizione di chi lo voglia vedere, sentire, comprendere.

Noi supponiamo che voi, e tutti quelli che si sono aggiunti alla Sesta, hanno trovato nella Sesta e nell’Altra Campagna, qualcosa che non trovavano da un’altra parte. Né nei partiti politici istituzionali, né nelle campagne pre-elettorali ed elettorali, né nei progetti di quei partiti.

La Sesta ha esposto solo le linee generali ed ha proposto che la concretizzazione di quelle linee non sia prodotto dell’organizzazione convocatrice, l’EZLN in questo caso, ma della discussione e dell’accordo, che sia basata sul rispetto delle modalità di ognuno in completa uguaglianza, di tutti quelli che decidano di percorrere questa strada e di costruire quella altra cosa che ha in ognuno una figura ed un colore, e che avrà la figura ed il colore che concordiamo tra tutti.

Così oggi, a nome dei miei compagni e delle mie compagne, di donne, uomini, bambini ed anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione di Nazionale, vi ribadisco: avete qui, nella Sesta e nell’Altra Campagna, un posto. Un posto che rispetteremo.
Offriamo rispetto e trattamento da uguali a tutti quelli che camminano al nostro fianco. Né comando né subordinazione. Né fusioni né scissioni. Non sovvenzionate o promosse da noi. Ognuno di noi ha la propria storia, la propria esperienza, la propria forma organizzativa. Conservandole ed arricchendole, cammineremo insieme ed, insieme, continueremo a costruire quello che decideremo, in collettivo, di costruire.

La Sesta è chiara in quello che dice ed è chiara in quello che non dice: cercheremo di fare un’altra forma di politica, cercheremo di costruire un programma nazionale di lotta, di sinistra ed anticapitalista e proponiamo la domanda di una nuova Costituzione. Tutto questo lo faremo coi lavoratori della campagna e della città, coi diseredati, con i perseguitati per la loro diversità, con coloro che si ribellano e lottano contro le ingiustizie, con coloro che sanno che la libertà non si ottiene col permesso dell’oppressore, ma strappandogliela. Questo è il Che cosa. Come, quando, dove, con chi, a che ritmo, con che passo, per quali strade, in quale compagnia, lo andremo definendo tra tutti.

Quelli che sottoscrivono la Sesta e che partecipano alla programmazione ed alla realizzazione dell’Altra Campagna, troveranno sempre in noi, zapatisti dell’EZLN, un ascolto attento e rispettoso, un interesse sincero a conoscere la vostra storia ed i vostri progetti, ed un impegno onesto a rispettare, anche a rischio della vita, gli accordi a cui arriveremo.

Insomma, coloro che si considerano di sinistra anticapitalista e cercano un luogo dove essere rispettati e dove si rispetti la loro indipendenza organizzativa, la Sesta e l’Altra Campagna saranno uno di quei posti. Non l’unico. Ci sono stati, ci sono e ci saranno, speriamo bene, altri spazi. Noi abbiamo questo e qui siano tutti benvenuti.

Abbiamo manifestato il nostro interesse in stabilire in primo luogo relazioni e più avanti, se c’è il comune accordo, alleanze con organizzazioni politiche di sinistra, con organizzazioni indigene, con organizzazioni e movimenti sociali, con ong, collettivi, gruppi, individui e con quelli che non si sentono definiti in nessuna di quelle sigle e che chiamiamo «altri, altre», secondo i seguenti principi:

Non fare accordi in alto per imporli in basso, ma fare accordi per andare insieme ad ascoltare ed ad organizzare l’indignazione; non innalzare movimenti che siano dopo negoziati alle spalle di chi si è mosso… ma invece prendere sempre in considerazione l’opinione di quelli che partecipano; non cercare regalie, posizioni, vantaggi, posti pubblici, del Potere o di chi aspira al Potere, ma invece andare oltre al calendario elettorale; non tentare di risolvere dall’alto i problemi della nostra Nazione, ma invece costruire dal BASSO E CON IL BASSO un’alternativa alla distruzione neoliberale, un’alternativa di sinistra e per il Messico.

Sì al rispetto reciproco dell’autonomia e dell’indipendenza di organizzazioni, delle loro forme di lotta, del loro modo di organizzarsi, dei loro processi interni di presa di decisioni, delle loro rappresentanze legittime, delle loro aspirazioni e domande… e sì ad un impegno chiaro di difesa unita e coordinata della sovranità nazionale, con un’opposizione intransigente ai tentativi di privatizzazione dell’energia elettrica, del petrolio, dell’acqua e delle risorse naturali.

Questo è il nostro impegno e lo rispetteremo.

Compagni e compagne:

Come abbiamo fatto nelle riunioni anteriori, continueremo a spiegare sempre più quello che pensiamo e sentiamo della Sesta e dell’altra campagna, cioè, del mondo e del Messico.

Nel nostro paese, questa tappa del capitalismo che si conosce come globalizzazione neoliberale, prima ha distrutto e poi riordinato la politica dall’alto ed i suoi esecutori. Nuovi patti tra nuovi protagonisti hanno soppiantato le vecchie regole del sistema politico messicano. Settori del grande potere hanno smesso di affidare la politica ai professionisti della politica e, in tendenza, si sono rovinate le mediazioni tra il potere economico ed il potere politico. Nel caos provocato da questa distruzione sta emergendo quella che noi chiamiamo la «Società del Potere», un selezionato gruppo di interesse, un’elite che è quella che realmente detta l’imposizione delle politiche economiche e delle politiche politiche. La classe politica in Messico ha ora il compito di amministrare quella imposizione ed i suoi risultati, cioè le sue conseguenze. È per questo motivo che i partiti politici istituzionalizzati possono, senza alcun pudore, cambiare principi, programmi e progetti.
Mai come ora la differenziazione tra quelli che fanno politica in alto era stata tanto semplificata: solo colori e sigle. Neanche più i personaggi si differenziano. Lassù in alto ormai non si giocano più progetti di Nazione, ma invece progetti di amministrazione. In alto i politici somigliano a gerenti in cerca di impiego, che offrono in multimedia le loro capacità, il carisma, il dono del comando, organigrammi con molte frecce e caselle, a coloro che li possono assumere. Ora la sfida non è una nuova relazione sociale, ma una nuova amministrazione della distruzione neoliberale tuttora in corso.

Secondo il nostro pensiero, il disordine provocato dal Neoliberismo nel nostro paese preoccupa ed occupa quelli in alto, quella «Società del Potere». La violenza del crimine organizzato è solo una delle bandierine rosse che lassù vedono sulla mappa, che da lassù ci impongono come cammino e destino. La sfida per loro non è cercare una via d’uscita per la ricostruzione delle relazioni sociali, ma invece amministrare la loro distruzione. E per questo è necessario un buon amministratore, con una buona squadra di amministratori e con un buon piano di amministrazione. Così, le «squadre» (o i «teams», per usare il gergo imprenditoriale) presentano le loro proposte.

La squadra biancazzurra ha dimostrato che poteva eguagliare in solo 4 anni quello che la squadra tricolore aveva fatto in 70, ed ormai ha poco o niente da offrire. Ha compiuto la sua parte nella distruzione e nella spogliazione, e l’ha fatto con metodi e forme arcaiche che sono state, e sono, un insulto all’intelligenza. Lascia in eredità un paese sommerso nella crisi economica e, inoltre, con un scontento che supera già di molto le forme di controllo dei dominati ereditate dal suo predecessore tricolore. Il suo colore s’è stinto ancor di più e l’omino grigio che la rappresenterà nelle elezioni aggiunge la sua nuova tonalità cromatica.

La squadra tricolore, da parte sua, scommette sull’oblio. I suoi membri sono stati gli iniziatori dell’incubo in cui oggi viviamo noi tutti messicani e che, con l’alibi della rivoluzione istituzionalizzata, hanno adornato di frodi, massacri e controllo corporativo. Oggi questa squadra rappresenta le aspirazioni del crimine organizzato per consolidare il suo potere istituzionalizzato. Il suo ritorno al Potere non significherà il ritorno dei felici per loro, tempi andati, ma invece l’inasprimento della corruzione, del crimine e del tradimento. Se prima il suo slogan era: «La rivoluzione fatta governo», ora
sarà: «il crimine fatto governo».

A differenza del tricolore e del biancazzurro, la squadra nerogialla sì, guarda avanti.

Fortificata dai rimasugli che le altre squadre hanno lasciato durante il tragitto, propone una «nuova modernità» o, meglio, un’amministrazione moderna. Non basta, dicono, continuare con la distruzione, bisogna prevedere e tentare di calmare i prevedibili dissensi.
Bisogna attenuare gli eccessi, bisogna «limare i fili al neoliberalismo». Offre controllo, mediazione, amministrazione dei conflitti. La sua squadra è esperta in questo ed la sua provenienza dalle squadre tricolore e biancazzurra lo prova. «Siamo nuovi», dicono, anche se dal loro elenco sale un odore di rancido e di decrepito.

La squadra nerogialla ha offerto, e lo ribadisce nelle sue riunioni a porte chiuse con i messaggeri della «società del potere», controllo dove c’è ora mancanza di controllo, ordine dove ora c’è disordine. Offrono quello che è più richiesto in epoche oscure e senza via d’uscita apparente, offrono speranza. La speranza è la nuova merce. Speranza che le cose cambino o che non si mettano al peggio, che migliorino o che non peggiorino, speranza che ora sì è la nostra.
Ma la speranza, come il cibo, il salario, i vestiti e l’abitazione varia da una classe all’altra. La speranza di una politica culturale che incentivi la produzione artistica non è la stessa cosa della speranza che la campagna riceva gli aiuti necessari e che la terra sia di chi la lavora. Non è la stessa cosa la speranza che si abbatta la criminalità nel quartiere e nella strada che la speranza di una casa degna nelle periferie di miseria che già circondano tutte le città del nostro paese. Non è la stessa cosa la speranza che migliori la viabilità e la speranza che non si criminalizzi più la diversità. Non è la stessa cosa la speranza in un’amministrazione onesta e senza corruzione e la speranza che non si continuino a distruggere le conquiste sociali dei lavoratori. Non è la stessa cosa la speranza che aumentino le risorse destinate alla ricerca scientifica e la speranza che non si privatizzino più le risorse naturali. Non è la stessa cosa la speranza che il nord irrequieto e brutale moderi i suoi reclami ed esigenze e la speranza che venga annullato il debito estero. Non è la stessa cosa la speranza che si abbassino gli alti stipendi di governanti e funzionari e la speranza che finisca la precarietà nel lavoro. Non è la stessa cosa la speranza che vinca il meno peggio e la speranza che esista e vinca un progetto di trasformazione profonda della nostra realtà.

Tutte, devo dirlo chiaramente perché non si pensi che le stiamo disprezzando, le une e le altre, sono speranze legittime e giuste. E tutte dovrebbero essere soddisfatte. Ma quello che poi succede è che alcuni si accontentano di alcune. Il che è anche legittimo. Ma altri no, e coloro che si accontentano di alcune pretendono da noi, esigono, ci chiedono, che anche noi ci accontentiamo di quelle.

Ma l’unica differenza non sta solo nell’offerta di una nuova merce. È chiaro ed evidente che il nerogiallo è attaccato dall’estrema destra e da alcuni signori del denaro. Sempre meno, certo, ma ancora.

Così quelli che mettono sinceramente speranze ed impegno in quel cambiamento di colore scommettendo che il cambiamento possa essere più profondo, chiedono
allora: perchè l’accanimento con cui è attaccato il nerogiallo da certi settori delle «Società del Potere»? perché i tentativi sporchi, come l’esautoramento, per cacciarlo fuori? Perché la paura in determinati settori del Potere del denaro che arrivi alla grande, alla poltrona, alla presidenza del Messico?

Domandano:
Questo non è qualcosa che dovrebbe tenere in considerazione quella pancia col passamontagna che è portavoce dell’EZLN, per moderare le sue critiche, le sue sparate e villanie? Dopo tutto, l’unica cosa che ha fatto loro il nerogiallo è quello che hanno già fatto loro i tricolori per decenni: dovrebbero esserci abituati e stare in silenzio o, nel peggiore dei casi, usare le modalità misurate che lassù in alto hanno stabilito. Non sa la cintura del boiler mascherato che le critiche dolgono di più in periodo elettorale, che i colpi sparati nelle manifestazioni pacifiche? Non stanno sovradimensionando gli ezetaellenne la controriforma indigena che li ha rimessi di fronte all’oscura porta della guerra a metà del 2001? Non possono lasciar passare oppure, se proprio non ci riescono, tirar fuori un lungo testo che leggano solo in pochi, sul fatto che le leggi, approvate all’unanimità da PRI, PAN e PRD, hanno dato supporto giuridico a ciò che un dirigente indigeno ha definito la «privatizzazione della vita»? Non si rendono conto che col loro grossolano strepito fanno il gioco della destra, favoriscono il ritorno dell’altro innominabile e la «società del potere» che dicono di combattere?

Insomma, domandano: perché, se gli zapatudi dicono che il nerogiallo e chi lo appoggia nella corsa alla presidenza, è la stessa cosa dell’imbroglione tricolore e del color fumo biancazzurro, perché allora lo attaccano alcuni potenti (occhio: alcuni, non tutti, non quelli che sono più tra i più)?

Parte della risposta è qui ora di fronte ai miei occhi. C’era nella riunione preparatoria con organizzazioni politiche ed in quella con le organizzazioni indigene. Ci sarà anche in quella con le ong, i gruppi ed i collettivi. Ritornerà in quella con gli individui e gli «altr@». Un’altra parte, forse la maggiore, è quella che cercheremo di ascoltare con l’altra campagna.

Quello che temono in alto è che lo scontento sociale, e più in concreto lo scontento sociale ORGANIZZATO, non trovi solo un contenitore ed un’amministrazione che lo controlli, ma che quel movimento sociale organizzato trasformi quella speranza in una realtà che cresca, che straripi… che incominci a mettere in discussione tutto e, soprattutto, che cominci a costruire, dal basso e a sinistra, un’alternativa sociale, un nuovo paese, una nuova società, un nuovo mondo.

All’ordine che viene dall’alto, quello che impone con violenza la sua egemonia e pretende di omogeneizzarci, voi e molti come voi contrappongono l’identificazione delle diversità in tre parole che si pronunciano in molte maniere ma hanno un solo significato:
democrazia, libertà e giustizia.

La Sesta dichiarazione della Selva Lacandona parte da quello che siamo e da dove siamo noi, zapatisti dell’EZLN, questo è certo. Ma prosegue nel riconoscimento che non siamo per nulla gli unici né tanto meno i migliori. Prosegue nel riconoscimento che ci sono altre esperienze ed altre organizzazioni, cioè, altre storie. Prosegue nel riconoscimento che sono molte le strade della resistenza e della ribellione contro le ingiustizie, che sono molte e varie le differenze tra quelle resistenze e ribellioni e che sono differenti quelli che le portano avanti. E culmina con l’appello a tentare, insieme ed abbandonando ogni tentativo di egemonizzazione e di omogeneizzazione, di organizzare quelle esperienze, quelle organizzazioni, quelle storie, in un progetto con un’altro modo di fare politica, di sinistra anticapitalista e per una nuova costituzione. Un progetto che si chiama «l’altra campagna».

Compagni e compagne:

Ripeterò ciò che è evidente: noi non stiamo invitandovi a votare per un candidato o per un altro, per un partito politico o per un altro.

Ma ripeterò anche ciò che, a quanto sembra, non è poi tanto evidente: non stiamo neanche invitandovi a non votare per uno o per un altro, né ad astenervi. Come abbiamo già detto, noi vi rispettiamo e rispettiamo le vostre decisioni. Non saremo noi i giudici di quello che fate o smettete di fare nel processo elettorale che arriva. Se decidete di appoggiare qualcuno o decidete di astenervi, sarà vostra decisione sovrana ed indipendente e non cambierà quello che ora offriamo a voi ed a tutti quelli che si rivendicano come sinistra non istituzionale.

Si sono rispettate tutte le voci e si continueranno a rispettare. C’è chi ha chiesto di appoggiare López Obrador. C’è chi ha chiesto di lanciare un candidato indipendente ed ha proposto un nome. C’è chi ha chiamato a promuovere l’astensione. E ci sono quelli, la maggioranza fino ad ora, che pensano non al prossimo processo elettorale ma più in là e quindi, in questo senso, non li angoscia la definizione dell’Altra Campagna rispetto all’appoggio o al rifiuto di uno, al lancio di un indipendente o all’astensione.

Se fino ad ora l’informazione sui mezzi di comunicazione si è caricata di significati elettorali, è stato in parte per la nostra parola che ha incominciato per chiarire i dubbi alle persone ed alle organizzazioni che ci identificavano come da una parte ed ha continuato e continuerà a definirsi.

Quello che stiamo facendo ora noi è tracciare una linea chiara. Una linea che non solo è stata resa nota in altre occasioni, ma che qualche volta ha scelto l’appoggio di alcuni ed il rifiuto di altri. Molti di voi hanno fatto parte di quegli altri. Per nessuno è un segreto la vicinanza e la simpatia che avevamo, come zapatisti, per il neocardenismo ed il perredismo che si riuniva intorno al signor Cárdenas Solórzano, includendo López Obrador, ma non solo lui. Tutto questo è cambiato e da anni lo stiamo dicendo ma, dato che non c’erano delle elezioni, non ci hanno ascoltato. Rivedete la posizione dell’EZLN a partire dal maggio del 2001 e vedrete che ciò che ora diciamo è solo la continuazione e la ratifica di quello che abbiamo detto durante questi 4 anni.

E continueremo a dirlo fino a quando decideremo, noi e nessun altro, che è diventato chiaro per tutti coloro per i quali deve essere chiaro e fino a che lassù abbandoneranno definitivamente la speranza che il progetto di controllo che si offre, possa includere anche il controllo dello zapatismo dell’EZLN che – sia detto ‘en passant’ e proprio qui di fronte a voi – non è l’unico zapatismo, né l’unica ribellione e neanche siamo gli unici reticenti ai tentativi di addomesticamento.

Le riunioni dell’altra campagna e della Sesta proseguono. Ci sarà dopo una prima riunione generale con quelli che hanno aderito. Da lì uscirà un primo abbozzo di quanto segue, non definito solo dall’EZLN ma da tutte e tutti gli aderenti. A partire da lì, l’altra campagna non sarà solo zapatista, ma di tutti e tutte quelli che la facciano loro.

La campagna elettorale, incomincerà e sarà quella che è stata fino ad ora, una patetica esibizione di spot pubblicitari. L’altra campagna incomincerà prima, dopo o simultaneamente. La campagna elettorale finirà.
L’altra campagna proseguirà. Ci saranno le elezioni.
L’altra campagna proseguirà. Ci sarà un cambio di governo. L’altra campagna proseguirà. Arriveranno le sbornie e le delusioni. L’altra campagna proseguirà.
Forse allora, e solo allora, l’altra campagna si rivelerà per quello che vuol essere: la costruzione di «un’altra cosa». Qualcosa che, come tutto quello che sorge in basso ed a sinistra, alla vigilia sembra impossibile.

(e… continua con La storia di un villaggio
zapatista)

(traduzione del Comitato Chiapas di Torino)

STORIA DI UN VILLAGGIO ZAPATISTA*
Subcomandante Insurgente Marcos

Compagni e compagne:

vi racconterò una storia. Alcune parti me le hanno raccontate i compagni e le compagne zapatiste ed altre le ho viste e vissute. Se ci sono alcune imprecisioni, lasciamo agli storiografi la loro spiegazione. Con i suoi fatti comprovati, le sue leggende, le sue imprecisioni ed i suoi vuoti, questa è una parte della nostra lotta, la storia dell’EZLN.

Il luogo in cui ci troviamo era una proprietà di nome Campo Grande. La storia di questo luogo è una sintesi rigorosa della storia degli indigeni chiapanechi. Ed in parte, di tutti gli indigeni del sudest messicano, non solo degli zapatisti.
Campo Grande rendeva onore al suo nome: più di mille ettari di buona terra, pianeggiante, con acqua abbondante, strade fatte apposta per far passare il bestiame ed il legname pregiato, piste di atterraggio affinché i padroni non si impolverassero o si infangassero percorrendo le strade sterrate e potessero arrivare nei loro aerei; migliaia di indigeni da sfruttare, disprezzare, violentare, ingannare, imprigionare, assassinare. Allora, la riforma agraria del PRI, la rivoluzione istituzionalizzata, in Chiapas si concretizzava così:
le terre buone e pianeggianti ai finqueros; le pietraie e le alture agli indigeni.

Il padrone di Campo Grande era Segundo Ballinas, noto tra gli abitanti come un assassino, violentatore e sfruttatore di indigeni, principalmente di donne, bambini e bambine. Poi la proprietà venne frazionata:
una parte si chiamava Primor ed il suo padrone era Javier Castellanos, uno dei fondatori dell’Unione dei Proprietari della Seconda Valle di Ocosingo, una di quelle associazioni con le quali i finqueros mascheravano le loro guardias blancas; un’altra parte si chiamava Tijuana ed il suo proprietario era un colonnello dell’Esercito Messicano, Gustavo Castellanos, che teneva soggiogata la gente con la sua guarnigione personale. Ed un’altra parte andò in proprietà di José Luis Solórzano, membro del PRI e suo candidato in diversi luoghi, conosciuto nella zona per le sue promesse incompiute, le sue sfacciate menzogne ed il suo carattere prepotente e sprezzante nei confronti degli indigeni.

Così, in queste terre si sintetizzava il Potere del
Chiapas: finqueros, esercito e PRI-Governo. Per questa maledetta trinità, il Chiapas poteva essere un campo per l’allevamento di bestiame, una tenuta per esercitare il diritto di fare violenza, incluso su bambine; un campo da tiro su bersagli umani ed uno dei laboratori più moderni della «democrazia» del PRI: qui non era necessario conoscere i candidati, neanche i loro nomi né le loro proposte, né conoscere la data delle elezioni né quali le opzioni né avere documenti di identità. Insomma, non era neppure necessario recarsi alle urne.

In ogni processo elettorale, nel capoluogo Ocosingo, nelle sedi delle associazioni di proprietari ed allevatori, si pagava con un panino ed una bibita la giornata a compilare schede. Chiaramente quella «democrazia» aveva i suoi eccessi: in alcune elezioni prima dell’anno 1994 il PRI ottenne più del cento percento dei voti. Forse c’erano stati troppi panini e bibite.

In un agosto come questo che ci trova qui, ma nell’anno 1982, i finqueros e le loro «guardias blancas» sgomberarono con la violenza gli abitanti del villaggio Nueva Estrella. Spararono, picchiarono e presero prigionieri gli indigeni maschi. Alcuni furono assassinati. Separarono le donne e le obbligarono a guardare come bruciavano le loro case. Portarono via tutto. Tempo dopo, ritornarono. Quando qualcuno domandava loro perché ritornassero dopo tutto quello che avevano fatto loro, essi rispondevano con questo gesto [Marcos apre una mano con le dita verso l’alto, facendo capire: «por huevos»].

Nel 1994, il primo gennaio, migliaia di indigeni di questa zona tzeltal, insieme con altre migliaia delle zone tojolabal, chol e tzotzil, dopo dieci anni di preparazione, si coprirono il viso, cambiarono nome e chiamandosi collettivamente «Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale» si sollevarono in armi. I finqueros fuggirono, lo stesso fecero le loro guardias blancas ed abbandonarono le armi con le quali sostenevano la loro dominazione. Gli zapatisti recuperarono le terre. Attenzione: non le «occuparono», ma le «recuperarono». Così i compagni e le compagne chiamano questo atto di giustizia per cui si dovettero aspettare decine d’anni perché si realizzasse. Queste terre che furono di indigeni e che furono usurpate, ora tornano ad essere indigene. Sono state dunque recuperate. Le terre furono distribuite.

Centinaia di famiglie indigene che prima si ammucchiavano in uno spazio di 2 ettari, insieme ad altri indigeni senza terra di altri villaggi della zona, fondarono questo villaggio zapatista che oggi ci accoglie. Ora questo villaggio è abitato, tra gli altri, da coloro che furono attaccati dai finqueros nel 1982.

Questo villaggio zapatista si chiama Dolores Hidalgo e, come mi raccontano i fondatori, veterani della sollevazione del 1994, il significato di «Dolores» è quello del dolore che sentiamo da più di 500 anni di resistenza ed il nome «Hidalgo» è per Don Miguel Hidalgo y Costilla, che lottò per l’indipendenza.

Ascoltate bene che hanno detto «500 anni di resistenza» e non «500 anni di dominazione». Cioè, nonostante la dominazione non hanno mai smesso di resistervi. E quando parliamo di dominazione, cioè, quando raccontiamo la nostra storia, parliamo anche della resistenza. Ed ora non sto parlando della nostra storia come EZLN, ma della nostra storia comune, quella che condividiamo con voi, con le vostre organizzazioni sociali ed i vostri movimenti. La nostra storia comune, quella che, dove dice «comando e domino», noi e voi diciamo «resisto e mi ribello».

Ma gli zapatisti che fondarono Dolores Hidalgo non si riferiscono solo alla resistenza. Citano anche il dolore di essa. Il dolore del lungo cammino; il dolore della stanchezza, il dolore di chi tradì lungo il cammino, il dolore delle sconfitte, il dolore degli errori e, soprattutto, il dolore di andare avanti nonostante tutte le sofferenze.

Della vostra storia come organizzazioni e come movimenti, dei vostri dolori della vostra resistenza e ribellione, ci racconterete voi. Sicuramente, ci riconosceremo in più di una storia. Molte altre ci sembreranno lontane. Ma in tutte impareremo qualcosa di voi. E vi diremo quello che abbiamo detto ad altri: che vogliamo continuare ad imparare. Impariamo con voi, e con molti altri come voi, a pensare bene, a ben dire e a ben sentire quando diciamo «compagno, compagna».

Benvenuti compagni, benvenute compagne.
Molte grazie.

*Testo letto all’inizio della terza riunione preparatoria dell’altra campagna, convocata dall’EZLN con organizzazioni e movimenti sociali, svoltasi nella comunità Dolores Hidalgo, municipio autonomo ribelle zapatista di San Manuel.

(traduzione del Comitato Chiapas «Maribel» – Bergamo)

 

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