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Palabra del Ejército Zapatista de Liberación Nacional

Jun272013

I CONDISCEPOLI IV. NON CI SARANNO I NOSTRI MAESTRI.

I CONDISCEPOLI IV.

NON CI SARANNO I NOSTRI MAESTRI.

Giugno 2013

A le/gli aderenti alla Sexta in Messico e nel Mondo:

A le/gli studenti della Escuelita Zapatista:

Compagni, compagnei, compagne:

Credo davvero che avrete come compagn@ di scuola quanto di meglio al mondo.

Ma sicuramente, quando sarete in queste terre in resistenza, mancherà la presenza di chi è stato, ed è, molto importante per noi zapatisti. Chi ci ha sempre accompagnato e guidato e insegnato col suo esempio. Chi, come molti altre ed altri in ogni angolo del mondo, non è dell’EZLN. Alcuni sono della Sexta, altri del Congresso Nazionale Indigeno, molti altri hanno costruito proprie case, tuttavia, percorrono la nostra stessa strada. Tutti loro, in un modo o nell’altro, sono compartecipi dei nostri successi, per grandi o modesti che siano.

Dei nostri errori e fallimenti, che non sono né pochi né piccoli, siamo noi i soli responsabili.

Perché forse vi domanderete chi o come ci ha insegnato a resistere, lottare, perseverare.

E, soprattutto, vi domanderete perché non sono seduti al vostro fianco come altri studenti, i popoli originari del Messico e del Mondo, in particolare dell’America Latina.

La risposta è semplice: perché loro sono stati, e sono, i nostri maestri.

Dunque, non ci saranno i primi, coloro sul cui sangue e dolore si è costruito il mondo moderno: i popoli originari.

Non saranno vostri condiscepoli i popoli indigeni né le loro organizzazioni più rappresentative.

Non li abbiamo invitati alla scuola.

Forse vi chiederete se siamo impazziti, o se è una sporca manovra, tipo politici di sopra, per soppiantare i popoli indios e presentare noi stessi come IL popolo indigeno per eccellenza.

No, non li abbiamo invitati semplicemente perché non abbiamo niente da insegnare loro.

Potremmo insegnare ai popoli indios cosa significa essere trattato da estraneo nelle terre che furono nostre, prima ancora che il mondo iniziasse l’ingannevole conto della storia di sopra, e nel nostro cielo si imponessero bandiere straniere?

Insegneremmo loro cosa si prova ad essere oggetto di scherno per l’abbigliamento, per la lingua, per la cultura?

Insegneremmo loro cosa significa essere sfruttati, spogliati, repressi, disprezzati per interi secoli?

Cosa potremmo insegnare noi ai fratelli della Tribù Yaqui e Mayo Yoreme su cosa rappresenta il furto delle risorse naturali e la necessaria resistenza di fronte al saccheggio?

Che cosa al Kumiai, al Cucapá, al Kikapú, al Pame, su cos’è vedersi perseguitato fin quasi allo sterminio e, comunque, persistere?

Che cosa al Nahua, le sue terre invase da compagnie minerarie e funzionari corrotti e, sprezzante della persecuzione e della morte, continuare la lotta per cacciare gli invasori con la bandiera del denaro?

Che cosa al Mazahua ed al Ñahñu su cosa si prova ad essere deriso per l’abbigliamento, il colore, il modo di parlare e, invece di vergognarsi, riempire il vento di suoni e colori?

Che cosa insegneremmo ai Wixaritari sulla distruzione e l’esproprio della cultura con l’alibi del «progresso», e resistere, con la guida dei vecchi saggi?

Insegneremmo al Coca, al Me´hpaa, al Teneke a non arrendersi?

All’Amuzgo a lottare per i suoi diritti?

Ai Maya insegneremmo cos’è l’imposizione, con la forza, il furto e la criminalizzazione, di una cultura estranea che soggioga l’originale?

Al Purépecha parleremmo del valore della vita della cultura indigena?

Al Popoluca, Zapoteco, Mixteco, Cuicateco, Chinanteco, Chatino cosa rappresenta continuare a lottare avendo tutto contro?

Al Rarámuri cos’è la fame mal repressa e la dignità imbattibile?

E nella dolorosa America Latina:

Potremmo insegnare qualcosa ad uno dei nostri saggi fratelli, al popolo Mapuche, su cos’è resistere alla continua guerra di saccheggio e sterminio? A sopravvivere al lungo elenco di bugie, oltraggi e scherni, dipinti di tutti i colori politici di sopra?

E ad ognuno dei popoli originari del Messico, d’America, del Mondo, che cosa potremmo insegnare noi zapatiste e zapatisti, i più piccoli?

Che cosa imparerebbero da noi?

A resistere?

La loro sola esistenza dimostra che possono dare lezioni alla gran scuola del Mondo, non riceverle.

No, non invitiamo i popoli originari alla scuola per la semplice ragione che, nella nostra storia, siamo noi ad essere stati pessimi alunni di questi giganti.

Indubbiamente invieremo loro i materiali. Ma…

Insegneremmo loro com’è vivere in una comunità, sentire com’è avere un’altra cultura, un’altra lingua, un altro modo?

A lottare?

Ad immaginare e creare resistenze?

Nemmeno per sogno.

In ogni caso, dai popoli indios, noi zapatisti abbiamo ancora molto da imparare.

Quindi, loro verranno dopo e noi continueremo ad imparare.

E, quando verranno all’incontro speciale che faremo con loro, suoneranno le nostre migliori note, i più diversi e vividi colori adorneranno il loro passaggio, ed il nostro cuore tornerà ad aprirsi per accogliere i nostri saggi fratelli, i più grandi, i migliori.

Perché onorare chi insegna, è anche onorare la terra.

Verranno nelle nostre case, con loro condivideremo cibo e memorie.

Li eleveremo su di noi.

Eretti sulle nostre spalle, saranno ancora più in alto.

E domanderemo loro che cosa vedono.

Chiederemo loro che, coi loro occhi, ci insegnino a guardare più lontano, più in largo, più in profondità, più in alto.

Che ci arrivi la loro parola e che ne beviamo.

Che ci aiutino a crescere ed essere migliori.

Per loro c’è stato, c’è e ci sarà sempre il nostro miglior abbraccio.

Dunque, non ci saranno i nostri Maestri.

Ma non temete. È certo che questi popoli che sono riusciti a resistere fino ad oggi ad ogni tipo di attacco, sapranno essere generosi e, al momento opportuno, vi apriranno il cuore, come ora facciamo noi.

Perché loro ci hanno insegnato a non guardare i rumori che assordano e accecano.

Perché loro ci hanno insegnato a non ascoltare i colori dell’inganno e del denaro.

Perché loro ci hanno insegnato a guardarli e guardarci, ad ascoltarli e ascoltarci.

Perché loro ci hanno insegnato che essere indigeno è avere la dignità per casa e destino.

Perché loro ci hanno insegnato a non a cadere, ma a sollevarci.

Perché loro ci hanno insegnato il valore di essere il colore che siamo della terra.

Perché loro ci hanno insegnato a non avere paura.

Perché loro ci hanno insegnato che per vivere, moriamo.

 

Bene. Salute e silenzio per ascoltare il passo che viene dal più profondo dei mondi che sono e sono stati nel mondo.

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

SupMarcos

Messico, giugno 2013

 

::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo.

 

Sub-verso, insieme a Portavoz, con il pezzo “Quello che non dirò”, con onore e saluti. Lunga vita al Popolo Mapuche:


 

In memoria di Juan Vázquez Guzmán, indigeno tzeltal membro del CNI e aderente alla Sexta, assassinato ad aprile del 2013, in Chiapas, Messico. Ricordato qui dai suoi compagni dell’Ejido San Sebastián Bachajón, e da tutt@ noi:

 

Aho Colectivo, con Venado Azúl, Rubén Albarrán (Café Tacvba), Poncho Figueroa (Santa Sabina), Roco Pachukote (Sonidero Meztizo), Lengualerta, Hector Guerra (Pachamama Crew), Moyenei Valdés (Sonidero Meztizo), Valle González-Camarena, Memo Méndez Guiu e Moi Gallo nella parte musicale, Marcoatl, el Gallo, Benjamin Ramauge, Gaby Fuchs, Damian Mendoza y Jose Matiella, dejando claro que ¡WIRIKUTA NO SE VENDE, WIRIKUTA SE DEFIENDE!

Link al comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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